Le tradizioni cimiteriali milanesi

Oggi parliamo delle tradizioni cimiteriali milanesi

Come ogni grande città anche a Milano le tradizioni cimiteriali risalgono ai primi insediamenti urbani del periodo romano per svilupparsi nel corso dei secoli prima di arrivare ai cimiteri moderni, dal Monumentale  al Musocco.

Necropoli Paleocristiana

Il Museo di Sant’Eustorgio conserva i resti della necropoli individuata negli scavi del 1959-61, che ha restituito anche molte iscrizioni funerarie. Il nucleo più antico, inquadrabile tra III e IV secolo e pertinente l’originario sepolcreto a cielo aperto, è costituito da un’edicola funeraria, dalle sepolture alla cappuccina (con un corredo di orecchini aurei) e dalle tombe a cassa di laterizi e in nuda terra.




LA RACCOLTA EPIGRAFICA

La campagna archeologica del 1959-60 ha restituito anche un consistente gruppo di epigrafi funerarie che, unite ai tituli recuperati in precedenza dalle strutture della basilica, forniscono interessanti indicazioni sulla frequentazione funeraria del sito.

I testi delle iscrizioni, oltre a fornire indicazioni onomastiche e biometriche, testimoniano il clima composito della società milanese nell’età tardoantica segnalando la presenza di orientali e di militari.

 

Sotto la basilica dei Magi, la necropoli di Sant’Eustorgio

Il cimitero paleocristiano è un sito di primaria importanza per la storia antica della metropoli. Parte da qui, con un nuovo percorso per il pubblico, il grande progetto che valorizzerà i beni archeologici di Milano e che vede la Diocesi in prima fila.

Il mausoleo di San Vittore, testimonianza della Milano del IV secolo

Le mani sono alzate, le braccia allargate. Ma non si sta arrendendo questo giovane uomo dalla pettinatura a caschetto, forse un ufficiale (a giudicare dal mantello di foggia militare trattenuto sulla spalla da una fibula), ritratto su un frammento marmoreo. Il suo è l’atteggiamento dell’orante, il gesto del cristiano che eleva al Padre la sua preghiera, in una delle più antiche immagini di questo tipo giunte fino a noi…

Siamo a Milano, nei sotterranei di Sant’Eustorgio. In quel cimitero paleocristiano che reca le prime tracce dell’evangelizzazione della città, proprio là dove una radicata tradizione medievale poneva l’inizio della missione apostolica di Barnaba. Un sito archeologico di straordinaria importanza, che  è stato oggetto di una serie di opere di riqualificazione.

Già gli scavi dei primi anni Sessanta del secolo scorso, del resto, hanno evidenziato come la basilica di Sant’Eustorgio sia sorta su un’estesa zona funeraria, lungo la via per Ticinum (Pavia), a circa mezzo miglio dalle mura romane. Una necropoli in cui gli archeologi hanno individuato diverse fasi d’uso, dal III secolo fino a tutto l’altomedioevo, con il passaggio cioè da sepolture secondo l’uso pagano a quelle chiaramente identificabili come cristiane. Allo stesso modo, accanto a tombe piuttosto imponenti, realizzate in mattoni e lastre di serizzo (a volte contenenti gioielli e monete), sono state rinvenute anche inumazioni in bare lignee o nella nuda terra, a indicare così la presenza di sepolture più povere accanto a quelle di personaggi di un certo rango sociale.

 

DAL RINASCIMENTO ALL’EPOCA MODERNA

All’epoca dello storico Bernardino Corio[1](inizio 1500), come egli stesso lasciò scritto, la città aveva molti piccoli cimiteri, e per l’esattezza: tre camposanti nel Brolo (ad uso della chiesa di Santo Stefano e di due ospedali limitrofi), uno di fronte la basilica di San Lorenzo, detto della cortina, uno in san Pietro in campo lodigiano, uno di fronte la chiesa di Santa Eufemia. Altri quattro erano presso la chiesa di sant’Antonio, presso san Carpoforo, presso Santa Maria della Scala, e l’ultimo nell’attuale zona retro-absidale del Duomo, un tempo detta del Campo Santo dove venivano sepolti anche gli operai e gli artisti che lavoravano per la Veneranda Fabbrica.

Mentre l’Ospedale maggiore, la Ca’ Granda voluto da Francesco Sforza, che aveva iniziato a ricoverare ammalati nel 1464, provvedeva a seppellire i morti direttamente all’interno dei propri spazi (chiostri, cortili, sotterranei), ma già nel 1473 segnalava alla città di avere seri problemi di reperimento di adeguati spazi.

La rotonda di San Michele “ai nuovi sepolcri”

Quando l’Ospedale non fu più in grado di reperire all’interno ulteriori spazi di sepoltura si optò per la costruzione di un apposito e distante sepolcreto finalizzato ai soli cadaveri della Ca’ Granda, stabilendo contestualmente la proibizione di effetturare ulteriori sepolture interne.

La zona per il camposanto, chiamato “Nuovi Sepolcri”, ma comunemente detto dai milanesi “Foppone dell’ospedale, fu scelta il più vicino possibile al nosocomio, pur restando dallo stesso e dalle abitazioni della zona adeguatamente separato. Per raggiungerlo, fu costruito il ponte detto dell’Ospedale, che scavalcava il naviglio interno (oggi via Francesco Sforza) e quindi predisposto un rettifilo (oggi via San Barnaba e via Besana) che conducesse celermente alla località prescelta.

La Rotonda, oggi detta di via Besana, funzionò per circa 82 anni, accogliendo ogni anno una media di 1500 morti, per un totale approssimativo di ben 126.000 sepolture.

 

I cimiteri tardo-settecenteschi

Nella seconda metà del Settecento, sia per lo sviluppo di Milano sia per una politica di polizia mortuaria improntata a regole più severe, tipicamente austriache, vennero allestiti 5 nuovi cimiteri.

Infine, sparsi per la città, si contavano diversi ossari, che custodivano i resti dei cadaveri riesumati nei casi di svuotamento e soppressione di antichi cimiteri, o in caso di chiusura dei tanti piccoli ospedali, prima della loro soppressione e riunificazione all’interno dell’unica struttura della Ca’ Granda. Tra questi, il più famoso e tutt’oggi visitabile è quello presso San Bernardino, in piazza santo Stefano.

Cimitero di San Rocco al Vigentino

Chiusa la Rotonda di San Michele, immediatamente l’Ospedale Maggiore acquistò nel 1783 due lotti di terreno fuori porta Romana, a sinistra dell’attuale corso Lodi. Il cimitero fu detto di San Rocco, e con il trascorrere degli anni venne ingentilito da alcune cappelle e da altri lavori di semplice architettura, relativi alla cinta muraria e ai locali di servizio.

A causa del suo utilizzo anche da parte del Comune dei Corpi Santi, presto il San Rocco divenne insufficiente. Venne pertanto chiuso nel 1826. Nel 1875 vennero sollecitati i lavori di bonifica dell’area: si traslarono, quando possibile, i cadaveri nel nuovo cimitero di Musocco, e si recuperarono i monumenti e le lapidi in buone condizioni.

Cimitero del Gentilino

Questo nuovo cimitero, aperto al servizio nel 1787, altro non era se non l’espansione e la riqualificazione del vicino e antico cimitero di san Rocco al Gentilino. La nuova struttura di forma rettangolare era identificabile nel quadrilatero oggi compreso tra le vie Tantardini-Tabacchi-Balilla-Baravalle. Venne aperto in fretta e con pochissimo dispendio di denaro, tanto che a lavori ultimati il nuovo cimitero appariva tremendamente squallido e privo di qualsivoglia elemento artistico o decorativo. La scarsezza qualitativa dei materiali edili e i lavori in economia costrinsero peraltro la municipalità ad intervenire più volte con lavori di straordinaria manutenzione. Solo nel 1820 iniziarono ad essere elevate alcune cappelle per sepolture di famiglia e ordini religiosi, che col tempo divennero sedici.

La chiesuola annessa venne abbellita nel 1830, e successivamente si tracciarono alcuni vialetti interni.

Cimitero di San Gregorio

Aperto nel 1787 grazie all’ampliamento e alla razionalizzazione del vecchio foppone ove ebbero sepoltura i primi morti della peste del 1576, si estendeva dietro il Lazzaretto, avendo l’entrata sulla via San Gregorio, ed estendendosi in profondità sino all’attuale via Boscovich.

I lavori vennero anche in questo caso fatti in grande economia, tanto da necessitare negli anni successivi di continui lavori di consolidamento e ripristino prevalentemente della cinta muraria, famosa in città per essere soggetta a piccoli crolli ad ogni forte temporale estivo o periodo di frequenti piogge autunnali.

La così poco solida recinzione venne un po’ alla volta ricostruita integralmente, e nel 1857 furono altresì appaltati i lavori per il suo innalzamento a metri 3,85, al fine di potervi collocare un maggior numero di lapidi.

Nel 1866, aperto il Monumentale, questo cimitero venne prima destinato ad accogliere i morti del comune dei Corpi Santi, poi, unificatisi i due enti territoriali nell’unico comune di Milano nel 1873, il cimitero venne riaperto ad accogliere i morti della zona nel 1875. Chiuso poi definitivamente il 31 agosto 1883, e svuotato a partire dal decimo anno successivo (come da regolamenti di Sanità Pubblica), l’area venne adibita ad accogliere nuovi palazzi e vario tessuto urbano.

Cimitero di San Giovannino alla paglia (o di Porta Magenta)

Si trovava a sinistra uscendo da porta Vercellina, e quando questa prese a chiamarsi porta Magenta, anche il cimitero venne identificato con questo nome fino alla sua chiusura. Occupava l’area subito fuori dal bastione spagnolo che si trovava dove oggi si è creata la piazza Aquileia.

Anche in questo caso si trattava già di un piccolo cimitero, che venne ampliato e riorganizzato nel 1787. Si estendeva in forma rettangolare avendo al centro l’attuale incrocio tra le vie Verga e Giovio, a sinistra raggiungeva quasi il tracciato ferroviario che scorreva sull’attuale asse di via Alessandri. Nel 1825 venne ingrandito, e continuò ad essere utilizzato ininterrottamente, senza particolari vicende, sino al 1868, quando fu adibito ad accogliere solo i morti del comune dei Corpi Santi. Cessò la sua funzione il 30 novembre 1895, e dal giorno successivo i morti che vi erano destinati per territorialità vennero inumati a Musocco.

A testimonianza della sua esistenza, sulla piazza Aquileia si affaccia un piccolo tabernacolo-ossario, che reca la scritta di gusto tipicamente tardo barocco: “Quel che sarete voi, noi siamo adesso. Chi si scorda di noi, scorda se stesso”.

Cimitero della Moiazza

Fuori porta Garibaldi (Comasina), derivava probabilmente il suo nome dalla zona che lo ospitava, detta “la Muiazza” per via del terreno paludoso e di facile allagamento con conseguente ristagno di acque limacciose.

Si inseriva su di un vecchio camposanto consacrato il 28 aprile 1686, che venne ampliato a levante con l’acquisto da parte del Comune di un vasto appezzamento di terreno, posizionato a destra dell’attuale piazzale Lagosta. Le inumazioni ebbero inizio nel 1787.

In questo cimitero trovarono sepoltura, tra i tanti, Giuseppe Parini, inumato in una fossa comune nell’agosto del 1799, e il 20 aprile 1814 lo sfortunato ministro austriaco delle finanze, il novarese Giuseppe Prina, massacrato dal popolo durante la famosa (ma inutile) sollevazione contro le tasse austriache.Nel 1817 fu aggiunto un nuovo appezzamento sempre verso levante, per cercare di arginare il numero crescente di inumazioni.

Chiuso con l’apertura del Monumentale poi al solito riaperto, fu definitivamente soppresso il 22 ottobre 1895.

 

 

 

 

Bibliografia

Tedeschi C., Origini e vicende dei cimiteri di Milano, 1899
Canosa R., La vita quotidiana a Milano in età spagnola, 1996
Biagetti V., L’ospedale maggiore di Milano, 1937
Ottani G., L’abbazia di Chiaravalle milanese, 1937