Le Pompe Funebri e la ripartenza
Da alcune settimane questa parola, la ripartenza, di vago sapore austroungarico, è sulla bocca di tutti anche per una sorta di superstizioso augurio dopo la paralisi più lunga che la storia ricordi: dalla fine di febbraio al 3 giugno scorso.
Nella pubblica opinione è maturata la convinzione che il settore funebre sia tra i pochi che non hanno avuto ripercussioni negative da questa pandemia, anzi…, e che gli operatori funebri abbiano avuto buone chance di crescita.
Niente di più sbagliato.
Un certo numero di operatori, è vero, e soprattutto nelle zone rosse, si è trovato a triplicare o quadruplicare il numero dei servizi svolti: si tratta, però e sempre, di servizi effettuati in condizioni di grande precarietà e con condizioni igienico-sanitarie particolari, in totale isolamento oltre che nella fretta e confusione assoluta.
È vero, poi, che nella parte del paese meno coinvolta dalla pandemia, non solo si sono registrati numeri inferiori di servizi, rispetto agli anni passati, ma tali servizi hanno subito le medesime limitazioni subite nelle “zone rosse” a causa delle disposizioni delle autorità sanitarie e dal Governo.
Né si deve dimenticare che analoghe difficoltà hanno interessato tutti i settori “attigui” all’attività funebre: marmisti, operatori cimiteriali, ecc. hanno registrato in questi mesi particolari difficoltà e sono coinvolti da una crisi pesante.
Situazioni, quindi, diverse sicuramente tra le zone epicentro della pandemia ed il resto del paese ma che hanno in comune gli aspetti negativi: tutti gli operatori, a causa delle condizioni sanitarie imposte, non hanno potuto “curare” le famiglie colpite da un lutto con la dovuta attenzione ed i consueti suggerimenti.
I servizi funebri sono stati vissuti più come necessario smaltimento di un “rifiuto infetto” che come un accommiatarsi carico di relazioni. La scomparsa del commiato (“mio padre non l’ho potuto neppure salutare …”), della cerimonia e rito funebre, per non parlare dell’ossequio e della veglia funebre (si pensi alla sostanziale chiusura delle case funebri con i conseguenti gravissimi problemi finanziari stante la recente realizzazione di queste costose strutture) sono la traduzione plastica di questa situazione generalizzata, e subita, in tutto il paese.
Certo, lo abbiamo più volte sottolineato, molti errori nella gestione di questa emergenza, potevano essere evitati; sicuramente la colonna dei camion militari che hanno portato da Bergamo ad altre destinazioni i feretri destinati alla cremazione sono l’emblema di una gravissima sconfitta dello Stato incapace di trovare soluzioni adeguate, anche contingenti, alle necessità.
L’assenza di un soggetto competente su questa materia nei vari livelli della Protezione Civile capace di attivare le procedure necessarie su questi aspetti, come avviene nei paesi cosiddetti civili, porta a questi interventi assolutamente inadeguati ed inappropriati.
Sicuramente nei prossimi mesi avremo la possibilità di una più attenta e istruttiva analisi delle conseguenze sulla corretta elaborazione del lutto determinate da queste scelte, in buona parte obbligate.
Oggi alla categoria si pongono problemi strutturali particolarmente seri e complessi.
Non solo, come si verifica in ogni momento di gravi crisi e di profonde trasformazioni, probabilmente non tutti gli operatori presenti reggeranno a fronte delle trasformazioni del mercato ma per tutta la categoria si pone il problema di superare le défaillances di questa fase e, cosa più complessa, trasformare la crisi in opportunità di trasformazione, rinnovamento e nuovo sviluppo.
La caduta delle “tariffe” di questi servizi ridotti, come si dice, all’osso, la caduta di ogni celebrazione che porta alla standardizzazione massima dei servizi funebri, la spinta alla fretta nell’arrivo a destinazione, il cimitero, e via andando sono elementi che possono minare alla radice i fondamenti delle attività funebri.
Cosa fare? Senza andare alla memoria storica del “che fare” che si poneva Lenin nella “Rivoluzione di ottobre” si apre per la categoria un campo vasto di riflessione anche alla luce degli impegni legislativi da tempo presenti nel Parlamento italiano ed assolutamente necessari per riattivare un processo di unificazione concreta e sostanziale di queste attività sull’intero territorio nazionale.
Qui voglio sottolineare tre elementi.
Prima di tutto oggi molto più del passato si pone la necessità e l’urgenza di investire in professionalità: se la categoria non sviluppa conoscenze e, come dicono i francesi, savoir faire, cioè capacità operativa ed esperienza, sarà arduo recuperare spazi al servizio funebre e salvaguardare questo lavoro dalla semplificazione e standardizzazione assoluta. La formazione professionale vista tradizionalmente dal settore con molte riserve (“a me, con l’esperienza che ho, non si insegna nulla …”) deve, finalmente, diventare un valore assoluto per un imprenditore che vende “servizi” e che ha, come punto di forza il rapporto personale e sempre più profondo con le famiglie.
In secondo luogo, sempre di più si deve puntare sulla qualità dei servizi offerti: il rapporto qualità-prezzo sarà sempre più determinante; l’adeguata qualità dei prodotti offerti, a partire dal cofano, la cura prestata nei servizi, tutti senza eccezione ed in tutti gli aspetti, a partire dall’adeguato abbigliamento, sarà leva indispensabile per il proprio successo.
Terzo elemento, tradizionalmente misconosciuto dal settore se non osteggiato, le necessarie alleanze, qualcuno le chiama partnership; si tratta probabilmente di uno dei più gravi limiti di queste attività, mai superato nel corso degli anni anche se qualche esempio si sta sviluppando: centri servizio, complesse società che si affacciano, …. Il mercato funerario, come è avvenuto per tanti altri settori economici, non si può più affrontare con le singole capacità personali, risorsa preziosa ma inadeguata allo sviluppo di ogni mercato pur settoriale che sia. Il mercato funerario italiano si presenta ancora appetibile e verificherà, probabilmente, una forza di attrazione di capitali attenti alla resa finanziaria. Allora creare alleanze è sempre più importante per non essere fagocitati, o mangiati in un boccone, per parlare semplice. Altri paesi hanno affrontato questi aspetti ed hanno percorso già un bel tratto di strada, basta pensare alle “reti” sviluppatesi in Francia ed in altri paesi europei. Certo oggi non si possono riproporre le esperienze degli anni ‘70 del secolo scorso, cioè la nascita dell’OFISA di Firenze o La Generale di Genova, per citare solo gli esempi più significativi. Allora rappresentavano la tutela rispetto ai processi di frammentazione e polverizzazione presenti sul mercato e la difesa delle imprese presenti, oggi il tema è molto diverso: rafforzare la propria presenza per vincere sulla concorrenza e dare servizi più adeguati alle esigenze del mercato, quindi un guardare decisamente in avanti. Il tema non è quello di “unificare” e “fondere” più imprese, il tema è sviluppare sinergie e trasformarle in sistema solido e duraturo senza perdere la personalizzazione dell’operare. Certo più che allora, quindi, oggi si pone il problema di chi ha le capacità e gli strumenti per guidare la danza e, conseguentemente, la definizione di regole e gerarchie, per queste alleanze, necessarie e sufficienti per vincere la sfida: creare gruppi coesi orientati ed efficienti.
Ci fermiamo qui nella speranza di avere gettato un piccolo seme utile a generare una riflessione ed un confronto sul futuro di un settore ricco di vitalità ma posto, più di altri, di fronte alla necessità di profonde trasformazioni.
Caronte