Decreto riaperture e piano vaccinale

Dal 26 aprile l’Italia esce dal torpore depressivo delle restrizioni estreme e si avvia a una prudente ripresa economica e relazionale. Il decreto Riaperture della Presidenza del Consiglio, ampiamente circolato in questi giorni a mezzo stampa e informazione digitale, disciplina con precisione le “nuove libertà”. Espressione sicuramente polemica, ma realistica. Non si può tacere del fatto che il popolo italiano sta vivendo un profondo disagio che si riverbera negativamente sulla qualità della vita non solo materiale, ma anche (e forse soprattutto) psicologica.

Sembra impossibile affrontare il tema senza che subito non si creino posizioni contrapposte – nel peggiore dei casi tifoserie – animate da una politica apparentemente assente, ma molto sensibile al vecchio adagio dell’Impero romano: Divide et Impera. Così, per un motivo o per l’altro, ci si guarda con sospetto, si sospendono i discorsi e si fatica ad approfondire una realtà presente e futura con la quale ancora non è chiaro come ci si dovrà rapportare.

Fa molto discutere la questione “coprifuoco alle 22”, che appare di poco senso in rapporto alle categorie a cui si consente di riprendere le attività, considerata anche la differenza sostanziale rispetto a un anno fa: la campagna vaccinale avanza e a breve si prevede una vera e propria invasione dell’offerta. Per cui, se davvero nel vaccino consiste la pozione miracolosa, un po’ di fiducia in più sarebbe stata gradita.

Resta il fatto che noi operatori funebri siamo ancora costretti a guardare. Si lavora e si procede senza quella tutela che ormai sembra essere pane comune, perché di fatto, a oggi, le nostre istanze non sono ancora state compiutamente recepite. Corre voce che sia in cantiere un nuovo piano vaccinale che includa varie categorie professionali, tra cui la nostra, ma per ora si tratta solo di voci: carta non canta.

Va segnalata tuttavia una lodevole iniziativa sperimentale della Regione Lombardia, che potremmo sintetizzare col titolo di “vaccini in azienda”, che offre alle aziende lombarde aderenti a Federazioni e Associazioni di categoria la possibilità di vaccinare su base volontaria i propri dipendenti. Iniziativa la cui elaborazione teorica è iniziata poco prima di Pasqua e che successivamente è stata ripresa da un protocollo  governativo che estenderebbe la fattibilità al territorio nazionale.

La vera differenza tra i due documenti, con quello governativo che dovrebbe prevalere su quello regionale, è che Federazioni e  Associazioni potranno agire da tramite per i propri associati stringendo accordi con strutture sanitarie private disposte a somministrare i vaccini al personale aziendale. Ciò soprattutto a beneficio delle piccole imprese che non hanno requisiti interni per considerarsi hub vaccinale, semplificando l’accesso alla pratica e sollevandole da un po’ di burocrazia.

La questione è ancora aperta e in via di definizione specifica, ma Federcofit si è portata avanti firmando il Protocollo d’Intesa con la Regione Lombardia e partecipando al tavolo in cui si concorre all’elaborazione delle varie fasi del processo vaccinale per poter offrire ai propri associati assistenza e premura. Facciamo questo per essere pronti e “rodati” quando si potrà agire su tutto il territorio italiano e garantire sicurezza e prestazione ai nostri iscritti presenti in tutte le Regioni.

Ci auguriamo allora che i tempi si accorcino e tutto si sblocchi in fretta: diversamente si farebbe tanto lavoro e rumore per nulla nella misura in cui le dosi vaccinali disponibili dovessero diventare davvero tante e cadessero vincoli anagrafici o settoriali, constatata l’agevole accessibilità delle fiale.

In ogni caso Federcofit non molla, perché ha a cuore la categoria che rappresenta.

Piero Chiappano