Il confronto: a proposito di “quale impresa funebre”
In un recente intervento dell’amico Sereno Scolaro si tenta di affrontare un approfondimento sulla natura dell’impresa funebre.
Non sfugge che il tema è particolarmente attraente e, come dire, appetitoso nel clima che attraversa in questi ultimi anni il settore funerario, o meglio, il settore funebre strettamente inteso.
Il susseguirsi di progetti di legge, il Progetto Vaccari, della passata legislatura, ed il Progetto Foscolo Bellachioma, della presente, evidenziano un panorama quanto mai stimolante a simile approfondimento.
Colpisce e stupisce, però, mi si consenta nonostante la stima personale verso Sereno, come si acceda a determinati termini e definizioni senza andare alla loro vera natura ed origine sempre presente nell’attività funebre, come abbiamo più volte sottolineato, senza per la verità alcuna risposta, allo stesso Sen. Vaccari.
Ma veniamo con ordine ad alcuni approfondimenti.
“Imprenditore”, ha ragione Sereno, è colui che esercita un’attività di produzione o distribuzione di beni o servizi utilizzando adeguati strumenti di cui deve disporre, anche, aggiungiamo, indipendentemente dal loro possesso. Sono noti a tutti, infatti, i processi di integrazione aziendale presenti in tutti i settori e che coinvolgono tutte le tipologie di imprese di ogni dimensione e natura.
Quello che stupisce è, invece, la definizione di “agenzia”, richiamata dal nostro Sereno Scolaro forse anche perché affezionato alla superata “proposta Vaccari”, intesa come soggetto tipicamente commerciale e derivante dalla pratica commerciale/distributiva (agenzia di rappresentanza) e non, come invece è sempre stata nel settore funebre, derivante dalle norme di Pubblica Sicurezza: cioè l’agenzia di affari, che abilita ad operare in nome e per conto di altri soggetti deleganti con specifica tariffa e non in virtù di provvigioni di intermediazione.
La storia e l’evoluzione della normativa su questa specifica attività, dalla competenza per il rilascio dell’autorizzazione propria delle questure, fino al passaggio delle competenze alle Regioni e conseguentemente ai Comuni, per arrivare alla semplificazione degli adempimenti chiariscono in modo inequivocabile che non si tratta di soggetti economici abilitati all’intermediazione, come proponeva il progetto Vaccari, ma soggetti abilitati a trattare e concludere un quid in nome e per conto di un soggetto, avente titolo (non a caso), in virtù di un rapporto fiduciario esplicitato da una puntuale delega. Non tutti i soggetti lo possono fare e, conseguentemente per svolgere questa attività è necessario il rilascio di una “autorizzazione” particolare oggi rilasciata, oggi, dal Comune ed inserita nell’autorizzazione all’attività funebre con le nuove disposizioni regionali.
Al di là del fatto che la definizione dell’attività funebre come “agenzia” funebre deriva da questa funzione, si deve considerare che la grande maggioranza delle leggi e disposizioni regionali, se non la totalità, esplicitano il divieto dell’intermediazione nel settore che trae origine non da una sorta di fantasiosità del legislatore ma da elementi insiti nell’instaurarsi, tramite la “delega”, di un rapporto fiduciario, diretto e non trasferibile, tra avente titolo ed impresario a seguito di esplicita autorizzazione del delegante.
Certo nascono e si pongono problemi nell’approfondimento del tema “impresa funebre” e dei requisiti organizzativi necessari e della loro titolarità: il tema dell’avvalimento o dei cosiddetti Centro Servizi è di grande interesse nel dibattito degli ultimi 20 anni.
Dopo lunghi anni di discussioni e serrati confronti sembra, ormai, che tutte le Regioni accettino il ricorso ad integrazioni aziendali al fine di permettere a tutti gli operatori presenti sul mercato l’esercizio di questa attività garantendo alle famiglie un servizio rispettoso delle regole e delle condizioni minime di una corretta concorrenza ad eccezione della Regione Campania dove, ancora dopo oltre 10 anni dal varo delle disposizioni di legge, in molte aree della regione dette disposizioni restano sostanzialmente lettera morta… e, ci sembra, a buona ragione.
Nell’affrontare questi problemi si dovrebbe, inoltre, considerare i punti di partenza della medesima imprenditoria funebre a partire dalla scelta di campo a suo tempo, gli anni settanta in concomitanza della legge n. 426 sul commercio, fatta, cioè inquadrare l’attività funebre come attività commerciale, quando si parlava della “pompa funebre” e del trasporto funebre come elementi tra loro distinti e soggetti a gestioni diverse, la prima come attività imprenditoriale, la seconda come servizio pubblico affidato, per norma, alla diretta responsabilità dei comuni.
La giurisprudenza e le successive norme hanno “liberalizzato” anche la funzione del trasporto funebre ma, una cosa è modificare funzioni e loro affidamento, cosa ben più complessa è modificare e fare evolvere l’assetto imprenditoriale relativo ed il suo rapporto con la “politica”.
E la questione, oggi, non è tanto la “responsabilità” e l’”autonomia” dell’imprenditore, anche se strettamente collegato con un Centro Servizi, un Consorzio… come richiama Sereno, queste sono ben chiare dagli elementi formali e dalla sottoscrizione degli specifici impegni, la questione è, piuttosto, lo sviluppo di rapporti di integrazione aziendale finalizzati alla crescita della potenzialità imprenditoriale sia per l’esecuzione di servizi più professionali, sia per una maggiore penetrazione nel mercato.
Il tema è particolarmente sentito stante la presenza e lo sviluppo, anche nel nostro paese, di nuove realtà più complesse e con nuove disponibilità finanziarie e stante l’avanzare nel complesso mondo della funeraria in genere di logiche nuove, forse possiamo azzardare nel definirle più europee, che porranno problemi nuovi per l’imprenditoria tradizionale italiana, come dimostrano nuovi soggetti finanziari o nuove proiezioni di soggetti già attivi da lungo tempo, sia nel settore funebre, sia nella componente più dinamica del cimiteriale, cioè la cremazione.
Caronte