Cimiteri d’Italia: il Veneto – Verona, Vicenza e Padova
La ricca tradizione storica e culturale del Veneto si riflette anche nei suoi Cimiteri, di cui con questo articolo continuiamo la visita dopo la puntata veneziana.
Cimitero monumentale di Verona
Il cimitero monumentale di Verona è il camposanto principale della città di Verona. È stato progettato dall’architetto Giuseppe Barbieri a partire dal 1828.
Nel 1806 fu esteso al Regno d’Italia l’editto napoleonico di Saint Cloud, che stabilì la collocazione dei cimiteri al di fuori delle mura cittadine. La città di Verona, di conseguenza, si trovò di fronte alla necessità di individuare un sito adeguato per il proprio camposanto: la ricerca richiese circa due decenni e nel 1826 fu acquisita allo scopo la vasta area del Campo Marzo, all’altezza di Porta Vittoria.
Prima di esso, i defunti venivano tumulati nelle varie chiese, principalmente nella chiesa di San Bernardino e nella chiesa della Santissima Trinità in Monte Oliveto.
Dopo la morte di Giuseppe Barbieri nel 1838, i lavori per il cimitero vennero sovrintesi dall’architetto Francesco Ronzani, che li concluse in sei anni: il risultato fu la creazione di un nuovo polo urbano al di là del fiume Adige, simbolico elemento di separazione tra la “città dei vivi” e la “città dei morti”.
Il cimitero fu costruito in stile neoclassico e nonostante appaia di dimensioni maestose lo spazio disponibile per le sepolture si esaurì in poco tempo. Per questo motivo a partire dal 1910 il camposanto fu ampliato creando una nuova ala di uguali dimensioni sul lato est, il cosiddetto Cimitero Nuovo. Agli anni Trenta del Novecento risale la creazione del tempio-ossario per i Caduti della Grande Guerra e del Cimitero Giardino.
Durante il secondo conflitto mondiale il Cimitero Monumentale di Verona subì ingenti danni a causa dei bombardamenti che colpirono la vicina stazione ferroviaria di Porta Vescovo, tanto che per provvedere alla ricostruzione delle murature crollate e al ripristino delle tombe e delle sculture danneggiate si è impiegato altre un decennio.
Curiosità: la chiesa del cimitero, intitolata al Santissimo Redentore, nel 1884 venne dotata di tre campane alla veronese in tonalità di Sib3.
Cimitero acattolico di Vicenza
Il cimitero acattolico di Vicenza è un cimitero oramai dismesso della città di Vicenza. Costruito tra il 1830 e il 1833 era destinato a ospitare le salme degli ebrei, dei non cattolici, dei bambini morti senza battesimo e dei militari che servivano l’impero austro-ungarico.
Sull’area presso il fiume Astichello in cui ora sorge il cimitero acattolico, durante il Medioevo era situata l’abbazia di San Vito gestita dai benedettini, nel XII secolo essa fu ceduta ai canonici della cattedrale, nel 1204 divenne sede dello Studio Generale (o Università di Vicenza), ma dopo pochi anni gli universitari se ne andarono e l’abbazia passò ai camaldolesi. Fu demolita nel Cinquecento e i frati si spostarono nel vicino convento di Santa Lucia.
In seguito al decreto italico del 1806 – che aveva vietato la tumulazione nei sagrati o dentro le chiese e aveva imposto di adibire allo scopo un luogo comune e aperto con l’osservanza di determinate prescrizioni – su quest’area fu costruito un cimitero, che avrebbe dovuto servire la città insieme con l’altro costruito poco fuori porta Castello. Quest’ultimo però si dimostrò inadatto dal punto di vista igienico-sanitario, cosicché nel 1817 il Comune decise la costruzione del nuovo cimitero maggiore, i cui lavori nel 1820 erano progrediti a tal punto che vi iniziarono le inumazioni e non fu più usato il cimitero di Santa Lucia.
Si avvertì di nuovo la necessità del cimitero di Santa Lucia alla fine degli anni venti dell’Ottocento, perché l’autorità militare austriaca – a quel tempo Vicenza faceva parte del Regno Lombardo-Veneto – insisteva per tumulare nel nuovo Cimitero anche i soldati, che fino a quel momento venivano sepolti in Campo Marzo. La Congregazione Municipale scelse invece di destinare a questo scopo il vecchio cimitero di Santa Lucia, da qualche anno in disuso. Così tra il 1830 e il 1833 esso venne riadattato su progetto dell’architetto Bartolomeo Malacarne e destinato ad accogliere le salme dei militari e, diviso da un muro in due settori distinti, degli ebrei, dei non cattolici e dei bambini morti senza battesimo. Nel 1879-1880, ormai sotto il Regno d’Italia, il muro all’interno del cimitero di Santa Lucia fu abbattuto e l’unico recinto cimiteriale restò diviso in due parti, l’una per gli ebrei e l’altra per gli acattolici, separate solo da piante. I militari italiani vennero invece tumulati nel Cimitero Maggiore. Durante le due guerre mondiali tuttavia tornarono ad esservi sepolte salme di militari stranieri, specialmente tedeschi.
L’ultima sepoltura risale al 1956. Il cimitero è tuttora aperto al pubblico come spazio verde.
L’ingresso e il recinto, opera del Malacarne, con il loro bugnato rustico di mattoni ricordano quelli del cimitero monumentale, a quel tempo in costruzione.
Risalgono al 1879-1880 la ristrutturazione del portale e la costruzione di due piccoli edifici destinati rispettivamente al custode e alla camera mortuaria, così come la denominazione di cimitero degli Ebrei e degli acattolici.
Cimitero Maggiore di Vicenza
Il Cimitero Maggiore di Vicenza, già conosciuto come Cimitero Monumentale di Vicenza, è il principale cimitero della città. Costruito dagli architetti Bartolomeo Malacarne e Giacomo Verda tra il 1816 e il 1848 in stile neoclassico, ospita tra gli altri le tombe di Andrea Palladio, Guido Piovene, Mariano Rumor, Virgilio Scapin.
Agli inizi dell’Ottocento Vicenza era servita da due cimiteri.
Il primo, costruito verso la fine del XVIII secolo al di fuori delle mura scaligere occidentali (nella zona compresa tra le attuali via Cattaneo, Saudino, Cairoli e Mazzini e vicino al Campo delle esecuzioni di Giustizia), non fu utilizzato a lungo, perché a poca profondità si trovava la falda idrica che creava notevoli problemi igienico sanitari. Pur essendo occupato solo per un terzo, fu soppresso nell’ottobre 1815.
Il secondo era stato costituito in seguito al noto decreto del 1806 – che aveva vietato la tumulazione nei sagrati o dentro alle chiese e aveva imposto di adibire allo scopo un luogo comune e aperto con l’osservanza di determinate prescrizioni – nella coltura dei Santi Vito e Lucia (dov’è ora il Cimitero acattolico) nell’area di un più antico cimitero, il Cimitero di Santa Lucia che, però, da solo era insufficiente ai bisogni della città.
Fu così nominata dal consiglio comunale una commissione di tre cittadini, che dapprima affidò l’incarico di redigere un progetto all’architetto veneziano Giuseppe Jappelli e poi, scartato questo progetto, al vicentino Bartolomeo Malacarne, che lo predispose nel 1815-16, prevedendone la collocazione alla fine di un viale alberato che usciva direttamente da Porta Santa Lucia. Esso fu, invece, spostato più a sud verso la strada postale trevigiana, cioè la strada Postumia – non erano ancora aperte le mura verso Borgo Scroffa – e, iniziato nel 1817, è stato completato nel 1848 sotto la direzione dell’architetto Giacomo Verda.
“Qui il terreno non dà acqua, è di un fondo sabbioniccio ed essendo posto verso nord-est della città combina anche il vantaggio dell’aria”: così si esprimeva il Malacarne. A quel tempo la zona era tutta campagna, mentre ora il Cimitero è completamente inglobato nei quartieri urbani.
Mano a mano che i lavori procedevano, cominciavano anche le inumazioni e venivano acquistate le tombe sotto il portico.
Anche questa realizzazione si dimostrò presto insufficiente e in due riprese, nel 1864 e nel 1903, furono costruite delle gallerie coperte sotto i lati nord-ovest e nord-est per portico. Nel 1927 fu deciso un ulteriore ampliamento del cimitero, aggiungendo un’area a nord-ovest che, ulteriormente aumentata nel corso del secolo, ora rappresenta il “cimitero giardino” che alterna, tra gli spazi verdi, colombari di diversa fattura e tombe di famiglia. Dagli anni novanta funziona il nuovo impianto per la cremazione che serve anche i comuni contermini.
Il Cimitero Maggiore consiste in un porticato quadrato di 180 metri per lato e con 127 arcate, in stile neoclassico, che vuol ricordare il portico di una villa palladiana o, meglio, un complesso rurale di ascendenza palladiana. Su ciascuno dei tre lati esso è interrotto da un frontone che racchiude un timpano, a indicare i sepolcri degli illustri e dei benemeriti; sul quarto lato verso viale Trieste è inserita la chiesa.
Il motivo del paramento in laterizio, sagomato a formare il rilievo delle grandi bugne e successivamente scheggiato con lo scalpello ricorre frequentemente nel neo-classicismo locale, come nel Palazzo Franco del Piovene e nel Vescovado del Verda.
All’esterno il porticato è chiuso da un muro a bugnato rustico, in mattoni scalpellati, per quasi tutta la sua altezza. Verso l’interno è costituito da logge aperte sostenute da pilastri anch’essi bugnati. Sotto le volte sono collocate le tombe delle famiglie nobili e possidenti, tra cui quella di Andrea Palladio, realizzata nel 1844 in una cappella a lui dedicata – volutamente collocata sul lato opposto della chiesa, quasi a coronamento del porticato – su progetto dello stesso Malacarne, grazie a un lascito del conte Girolamo Egidio di Velo. Le presunte spoglie di Palladio vi furono solennemente trasferite l’anno successivo, il 19 agosto 1845, dal tempio di Santa Corona. Il monumento funebre fu scolpito dallo scultore di Nove Giuseppe De Fabris.
Al centro del perimetro lo spazio – di nove campi vicentini suddiviso in 13 aree – è occupato dalle tombe interrate di semplici cittadini, con aree specifiche per le religiose e per gli infanti, quasi a riprodurre una società ancora suddivisa in classi. Questa impostazione, cioè il tentativo di riprodurre la città dei morti “perfetta”, portò a escludere dal Cimitero Maggiore, nell’Ottocento, coloro che a questa società non appartenevano: ebrei, acattolici e non battezzati. La tumulazione delle loro salme fu invece indirizzata al vicino Cimitero acattolico, insieme con quelle dei militari, nonostante le insistenze dell’autorità austriaca che a quel tempo governava il Lombardo-Veneto.
La chiesa, costruita nel 1920 e dedicata al Cristo risorto, è a pianta circolare ed è sovrastata da una cupola a calotta rotonda ricoperta di rame con lucernario. Un doppio campanile affianca l’abside della chiesa, rivolta verso l’interno del cimitero. Per tutto il Novecento la chiesa è stata officiata e i servizi funebri svolti dai francescani di Santa Lucia che avevano anche la custodia del cimitero.
Cimitero Maggiore di Padova
Antenorea, odierna Padova, nel lontano 1837, in ottemperanza all’editto di Saint Cloud, vedeva già proliferare idee e progetti attorno alla definizione del Cimitero Maggiore. Le proposte fioccavano, il fermento era tanto. Si partì con il primo progetto presentato dall’ingegnere municipale Giovanni Maestri, un progetto definito valido ma da ridefinire, adattandolo ancor più alle esigenze di culto. L’approvazione giunse finalmente nel 1861 ma, a sorpresa, venne indetto un concorso pubblico. Giunse anche l’anno 1865 e, con gran sollievo, si giunse ad una scelta; la scelta di premiare il progetto di Enrico Holzner, architetto triestino, che con entusiasmo concorreva affianco ad altri ventuno illustri progettisti. Il progetto Holtzner, concepito in «stile lombardo», ben si accordava con le principali architetture di Padova. Solo nel 1881 ottenne approvazione concreta. Nel 1882 furono costruite le mura di cinta, la chiesa con annessa sacrestia e i due portici laterali d’accesso, due edicole interne, due abitazioni di servizio, due edicole agli angoli e la cancellata sul piazzale. Il risultato è un cimitero austero, ordinato, curato ed elegante che ricalca fedelmente il profilo del cimitero monumentale di Milano, ma decisamente in scala ridotta!