Prepararsi all’addio
Inizio, svolgimento e fine sono le tre fasi in cui, forse in maniera semplicistica, è possibile ricomprendere ognuno dei molteplici eventi che realizzano la trama della vita, attraverso il loro continuo intrecciarsi.
Lo Svolgimento, in particolare, è la fase mediana, quella dell’azione, dove le “cose accadono” che si separa in maniera netta dalle due fasi apicali, contrassegnate dalla sua negazione, la non-azione, il non-svolgimento.
La trama può essere rappresentata come un palcoscenico sopra al quale alcuni attori inscenano una recita, caratterizzata sia dai momenti liminari in cui essa ha inizio e termine, ma anche da improvvisi cambi di narrazione, da “colpi di scena”.
La liminalità ovvero il momento in cui il passato si trasforma in una nuova forma di presente, è spesso percepita come fase di improvvisa rottura dell’equilibrio e causa di instabilità, capace di proiettare sentimenti di angoscia e di preoccupazione nel pubblico non preparato al suo manifestarsi.
Ciò è particolarmente vero se la rottura comporta uno stravolgimento del copione a cui ci si era abituati ad assistere, con la fuoriuscita dalla sceneggiatura degli attori che ritenevamo più importanti nella costruzione del racconto.
Diversamente la fine annunciata di uno spettacolo, di norma, comporta un impatto emotivo minore, in quanto si era preparati ad accettare e assistere al passaggio liminale, tra recita e non-recita, tra svolgimento e non-svolgimento.
Passaggi liminali del tutto inaspettati, che creano un solco profondo tra il prima e il dopo, come la scoperta di una malattia oppure la notizia di aspettare un figlio, possono trasportarci in espressioni emotive acute.
Le forti espressioni emotive che ne conseguono, possono tradursi in incredulità, choc ma anche semplice smarrimento, sono causa della non-preparazione ad affrontare un improvviso momento liminale.
È nella preparazione, infatti, che è possibile evitare che le proprie emozioni possano lacerare il nostro stato d’animo, annichilire i nostri pensieri, rendendoci incapaci di vedere oltre il presente, intravedere una nuova prospettiva.
L’addio ad una persona amata, la quale era fino a poco prima parte integrante del nostro quotidiano, risulta essere una esperienza, dove le emozioni laceranti, possono raggiungere grande enfasi.
Rabbia, dolore, stupore e perplessità, sono tra le sensazioni avvertite più di frequente dai dolenti, a cui si aggiunge la sensazione di essere stati abbandonati assieme alla frustrazione per l’impossibilità di poter rimediare all’accaduto.
La società moderna, nel costante tentativo di nascondere l’idea dell’ineluttabilità dell’addio, della separazione, favorisce l’acuire delle emozioni, proprio perché non ci consente di essere preparati al suo arrivo.
Prepararsi all’addio, è un invito a prendere coscienza che gli attori con i quali condividiamo il palco della nostra “recita”, prima o poi scenderanno per far spazio a nuovi figuranti, avendo contribuito a generare un racconto unico: la nostra vita.
Prepararsi all’addio, significa favorire una costante riflessione sul nostro ruolo e su quanto le persone che abbiamo amato ci rimangono accanto, nelle piccole azioni di ogni giorno, nonostante abbiano scelto di recitare altrove.
Il momento della separazione non sarà più inteso come fase conclusiva e definitiva, se si riuscirà a spostare l’attenzione non su “ciò e chi non vi è più”, ma su quanto rimane in noi, riuscendo a intuire l’evoluzione della trama.
Chi se ne è andato non è davvero sparito, ma si è solo accomodato nella stanza accanto: ancora udiamo chiaramente i suoi consigli, lo ascoltiamo nei momenti di dubbio: perché la nostra recita è stata scritta assieme alla sua.
All’addio, quindi, bisogna prepararsi, non per riflettere sul naturale senso di angoscia che esso suscita, ma per prendere coscienza della necessità di apprezzare ogni attimo della recitazione, essendo essa destinata a concludersi.
Comprendere che ciò che consideriamo eterno e assoluto non lo sia affatto aiuta a valorizzare il contenuto, in quanto non lo rende scontato, permettendo infine di riconoscerci a nostra volta come figuranti a cui è stato assegnato un piccolo ruolo, all’interno di una sceneggiatura che non conosce liminalità.