Cimiteri d'Italia - la Lombardia

HERMES funeraria ha già visitato i cimiteri e le tradizioni cimiteriali milanesi in maniera molto diffusa; dedichiamo con questo articolo la giusta attenzione anche alle altre province della Lombardia.

Cimitero monumentale di Bergamo

Il cimitero monumentale di Bergamo è il camposanto principale della città di Bergamo. È stato progettato da Ernesto Pirovano ed Ernesto Bazzaro e costruito tra il 1896 e il 1913 in stile eclettico nel quartiere di Borgo Palazzo.

Fino al 1896 si possono notare due dei tre cimiteri ottocenteschi di Bergamo: a Santa Lucia (ovest) e Valtesse (nord)

L'editto di Saint Cloud del 12 giugno 1804, applicato anche in Italia a seguito delle conquiste napoleoniche, vietava la tumulazione dei defunti all'interno delle chiese e prevedeva che le aree cimiteriali fossero edificate al di fuori delle mura cittadine.

Tre cimiteri vennero quindi aperti a Bergamo nel 1810: uno nella zona di Santa Lucia, oggi via Nullo, un altro in Valverde e il terzo nella piana di San Maurizio.

Datano al 1892 le prime voci circa l'intenzione di accorpare in unico complesso i quattro piccoli campisanti esistenti in città. Il 17 ottobre 1896, un bando di concorso nazionale invitava architetti, ingegneri e artisti a presentare il progetto del Cimitero unico da costruirsi accanto a quello esistente di S. Maurizio. Quest'ultimo sarà inglobato nel nuovo impianto e destinato alle sepolture dei bambini.

Il primo, dimostratosi inadatto, venne chiuso dopo pochi anni e sostituito dal nuovo camposanto di San Giorgio alla Malpensata.

Secondo il bando l'ingresso monumentale, doveva servire da famedio e ospitare un atrio/peristilio, le sale di necroscopia e di osservazione, gli uffici del custode e di contabilità, due entrate a porticato, l'alloggio del custode e del capo seppellitore e una cappella per i riti funebri. L'architetto milanese Ernesto Pirovano vinse il bando per la realizzazione del nuovo cimitero - nonostante un preventivo ben superiore alle 150.000 lire previste. L'esproprio dei terreni impegnò l'amministrazione fino al 1900, quando prese avvio il cantiere. I lavori si dimostrarono difficoltosi e furono sospesi nel 1905 per riprendere nel 1910, ora affidati all'impresa edile dello stesso Pirovano, per concludersi nel 1913. Le prime sepolture nella nuova struttura iniziarono nel 1904.

Il cimitero monumentale è situato nell'area nord-est della città, collegato da un lungo viale a via Borgo Palazzo. Una piazza anticipa l'imponente prospetto rivestito in ceppo di Brembate, composto da un corpo semicircolare su alto podio e da due ali rettilinee corrispondenti agli ingressi. L'asse centrale è sottolineato dalla scalinata in cima alla quale si eleva il volume tronco piramidale del famedio, collegato alle cappelle laterali da colonnati, decorati inferiormente da un anello con foglie d'edera e bacche, motivo riproposto nel cancello in ferro battuto ideato dal milanese Enrico Colombo. Ai fianchi del portale d'ingresso al famedio, una fascia a bassorilievo in ceppo gentile illustra il "Miserere", opera dello scultore Ernesto Bazzaro; gli altri elementi decorativi sono di Emilio Buzzetti.

Nel secondo dopoguerra venne modificata la struttura della cappella e costruito l'avancorpo ad est, su progetto dell'Ufficio Tecnico Comunale.

Pirovano progetta una struttura in stile eclettico, con un ingresso monumentale sovrastato dal Famedio, dove sono raccolte le spoglie dei bergamaschi più illustri, tra cui il letterato Ciro Caversazzi, il politico Angelo Mazzi, i compositori Antonio Cagnoni e Alessandro Nini, e il maestro Gianandrea Gavazzeni. Oltre a loro, riposano al cimitero monumentale di Bergamo il sociologo e politico cattolico Nicolò Rezzara (1848-1915), l'aviatore Antonio Locatelli (1895-1936), lo stilista Nicola Trussardi, Giulia Gabrieli (1997-2011), il calciatore Piermario Morosini (1986-2012) e l'artista Trento Longaretti (1916-2017).

Il cimitero monumentale di Cremona

Il cimitero di Cremona fu costituito nel 1809 fuori dalle mura della città, cinto da un semplice muro perimetrale, nel rispetto del decreto napoleonico,l’editto di Saint Cloud. Il primo progetto di cimitero monumentale venne redatto nel 1821 dall'architetto cremonese Luigi Voghera (1788-1840), interprete e fautore del gusto neoclassico imperante a Cremona per tutta la prima metà dell'Ottocento: sviluppato su di un campo quadrato, prevedeva la costruzione lungo il perimetro di un portico ininterrotto suddiviso in piccole cappelle di famiglia chiuse su tre lati da cancelli in ferro battuto, mentre il campo centrale era destinato alle inumazioni.

Il costo elevato e la scadente manifattura delle celle gentilizie, appaltate ad un solo costruttore e realizzate in numero limitato agli angoli del quadrato, la mancanza di colombari, di ossari e dei necessari spazi di servizio suscitò un certo malcontento tra la borghesia emergente. Di questi sentimenti si fece interprete l'architetto Carlo Visioli (1798-1881) presentando agli organi municipali, tra il 1849 ed il 1864, diverse proposte di modifica al disegno del cimitero, che tuttavia non furono mai accolte.

Finalmente, nel 1862 il Comune bandì un concorso per l'ampliamento del Civico Cimitero, al quale parteciparono quattro autori. Fu scelto il progetto dell'architetto e scenografo cremonese Vincenzo Marchetti (1811-1894), che aveva disegnato il raddoppio a monte del quadrato del Voghera e due ampie aree semicircolari ai fianchi. Al centro del campo così immaginato il progetto prevedeva due grandi costruzioni a forma di croce, addossate alle cappelle realizzate negli angoli a nord del vecchio cimitero. Le due crociere erano collegate fra loro da un tempio con pianta a croce greca. I due larghi emicicli laterali erano occupati da porticati per colombari intervallati da celle di famiglia. L'ingresso principale a meridione era caratterizzato da un ampio vestibolo nel quale erano poste le scale per accedere ad una lunga teoria di corridoi sotterranei.

I quattro androni di ciascuna croce, uniti al centro da un ottagono a cupola, erano studiati per contenere 3840 colombari disposti in dieci file sovrapposte ed altri 1340 colombari nelle gallerie sotterranee raggiungibili tramite scale a chiocciola. Le testate degli androni erano state disegnate dal Marchetti a forma di arco di trionfo, con quattro colonne scanalate d'ordine ionico che sostenevano una decorazione decorata a festoni sopra la quale era posto, al centro, un gruppo statuario a due figure.

Nel 1866 si diede inizio alla costruzione di un primo braccio della croce di ponente, terminato solo sette anni dopo, della abitazione del custode, a fianco dell'ingresso principale, e del nuovo muro di cinta. Tutti gli edifici vennero rivestiti e pavimentati con marmo Botticino e le coperture realizzate con grandi lastre di pietra di Luserna, mentre per la chiusura dei colombari negli androni vennero impiegate lapidi in marmo bianco di Carrara e contorni in marmo nero di Varenne.

Per rimediare alla dispendiosità del progetto ed agli inconvenienti igienici dovuti alla scarsa ventilazione e alla umidità delle gallerie sotto terra, il Comune incaricò il Marchetti di modificare il suo lavoro.
Lo studio di un nuovo ampliamento del cimitero fu disposto nel 1895 e l'incarico lo assunse Davide Bergamaschi (1826-1904), architetto e professore di disegno. Il nuovo progetto ridusse la pianta alla forma rettangolare odierna sostituendo gli emicicli laterali con nuovi campi che riproducessero il disegno del vecchio recinto Voghera, e modificò la cancellata e i due fabbricati dell'ingresso.

Nel 1917 venne terminata la costruzione della chiesa-padiglione progettata dall'architetto milanese Ernesto Pirovano, collocata al centro delle due grandi croci. Il nuovo monumento non svolse mai la funzione per la quale era stato realizzato in quanto la chiesa inferiore era troppo angusta e quella superiore in posizione troppo elevata ed esposta alle intemperie, ma divenne il simbolo del cimitero.

Nel 1922 fu innalzato il terzo braccio della croce di ponente e si completò quella di levante con il quarto androne e la cupola dell'ottagono centrale. La costruzione delle grandi croci si concluse solo nel 1931 con l'ottavo ed ultimo androne, completo del piano sotto terra. La costruzione delle scale per l'utilizzo di altre quattro gallerie sotterranee fu realizzata nel 1945.

Dal giorno della sua costituzione, il cimitero monumentale di Cremona ha visto diversi architetti avvicendarsi nella progettazione dei suoi spazi, ma quasi per una sorta di rispetto verso il primo e più celebre di loro, Luigi Voghera, tutti hanno contribuito al suo sviluppo ordinato e stilisticamente omogeneo.

Il cimitero di Brescia

Il cimitero di Brescia, il primo cimitero monumentale italiano, prototipo di tutti i cimiteri neoclassici dell'Ottocento, è opera che impegnò il progettista, l’arch. Rodolfo Vantini per tutta la vita e che i bresciani presero a chiamare semplicemente "Vantiniano". All'interno del complesso monumentale è presente la torre del faro: una colonna alta 60 metri culminante con una grande lanterna. Durante una vista l'architetto tedesco Heinrich Strack, rimase talmente colpito da realizzare una copia per la città di Berlino: l'odierna Colonna della Vittoria. Strack confessò: "di essere rimasto colpito dal capolavoro del Vantini e di non aver saputo creare nulla di più bello".

Realizzato dal 1813 in poi, fu la prima opera di Rodolfo Vantini. Dopo le leggi napoleoniche, a Brescia si decise di portare i morti in un campo fuori dalle mura di San Giovanni (verso Porta Milano). Qui le tombe vennero allestite in modo sommario, quindi si decise la costruzione di strutture più adeguate: inizialmente venne eretta una chiesa fino a quando, nel 1813, non venne dato incarico all'architetto Rodolfo Vantini di procedere con un progetto compiuto.

Il Vantiniano è un'opera di grandissima importanza poiché fu il primo cimitero monumentale italiano, prototipo di tutti i cimiteri neoclassici dell'800. L'opera impegnò il suo ideatore per tutta la vita.

La cappella centrale è dedicata a san Michele e in linea si trova la grande torre faro con in cima una lanterna di 60 metri di altezza; terminata nel 1864, ospita la statua di Rodolfo Vantini, realizzata dallo scultore Giovanni Seleroni.

Nel cimitero di Brescia sono state trasferite, per volontà pubblica della cittadinanza di Brescia, le spoglie del grande pittore Francesco Filippini, che fu inizialmente tumulato nel Cimitero Monumentale di Milano alla sua morte avvenuta il 6 marzo 1895.

Nel Riquadro Islamico è sepolta Hina Saleem, ragazza divenuta tristemente nota per essere stata uccisa e occultata dal padre e da altri parenti per non essersi adeguata ai costumi tradizionali pakistani.

Nelle tavole predisposte da Rodolfo Vantini per la pubblicazione di Il Campo Santo di Brescia, Brescia 1855, compare la monumentale aula del Pantheon, definita “Sala nell'Emiciclo in fondo al Cimitero destinata a contenere i monumenti degli illustri bresciani”, collocata appunto nell'emiciclo di chiusura dell'intero Campo Santo e in asse con il monumento a tronco di piramide del beato Giuseppe Bossini (1843-1856), il faro-lanterna (1847-1864) e la chiesa di San Michele. Dopo l'esperienza della cosiddetta Rotondina Comunale (collocata nella cella 8 al termine del portico orientale della facciata del Vantiniano), nasce il Pantheon, così com'è scritto sull'architrave esterno della sala, un vero e proprio Famedio comunale in cui collocare cenotafi, monumenti e iscrizioni in memoria di cittadini illustri.

Nel marzo del 2015 la Giunta comunale ha deliberato di riprendere quella nobile idea. Con deliberazione numero 34 del 16 marzo 2015 il Consiglio comunale ha approvato il “Regolamento per le onoranze al Famedio”. Ai sensi dell’art. 2 del Regolamento sono cittadini illustri “coloro che abbiano meritato per opere letterarie, scientifiche, artistiche o per atti insigni, o che si siano distinti particolarmente nella storia patria. Cittadini benemeriti sono coloro che abbiano arrecato alla città particolare lustro e beneficio”. Ogni anno, il 9 novembre, giorno della posa della prima pietra del Cimitero Vantiniano, si procede al ricordo dei cittadini illustri o benemeriti deceduti l’anno precedente, mediante apposizione dei nominativi su lapide commemorativa.

Il cimitero di Pavia

Il cimitero monumentale di Pavia sorge a est del centro storico cittadino, in località San Giovannino: in ragione di ciò, il cimitero è spesso designato dalla suddetta denominazione “cimitero di San Giovannino”.

La costruzione del cimitero risale verso la fine del XVIII secolo, quando il comune di Pavia sentì la necessità di costruire un nuovo camposanto; la scelta ricadde nel quartiere di San Giovannino, allora caratterizzato per lo più da vigneti ed una chiesetta intitolata a San Giovanni delle Vigne.

Tutto ebbe inizio nel 1788, anno in cui l’Ospedale cittadino dovette porre rimedio ad un impellente problema: il vicino cimitero annesso all’Ospedale stesso, chiamato “Cimitero del Liano“, era piccolo e saturo di sepolture. Lo scenario era il seguente: enormi fosse comuni traboccanti di salme in decomposizione. Ma la pagina più grottesca doveva ancora arrivare. Di lì a poco difatti le strade cittadine furono invase da sfilate nauseabonde di carri goffamente carichi di corpi decomposti, scheletri e brandelli di membra. A condurre i carri i becchini del paese che, molto spesso, distratti a brindare in qualche bettola, finivano per abbandonare i carri dello scempio ai bordi delle strade. Inutile dire che lo sgomento cittadino fu tanto al punto da indurre il comandante militare di Pavia ad arrestare tutti i becchini. Le strade di Pavia furono per mesi protagoniste di viavai di carri agricoli scoperti, aventi il compito di trasportare i cadaveri nel nuovo camposanto; esalazioni maleodoranti ed incidenti provocati dalle continue cadute delle ossa dai carri rappresentarono disagi frequenti in quel periodo. Il comando militare di Pavia decise, ad un certo punto, di sospendere le traslazioni, soprattutto per via della lentezza dei becchini, nell'attesa che il nuovo cimitero venisse in definitiva ultimato. Frettolosamente si pensò ad una soluzione; nella località di san Giovannino una vasta area coltivata a vigneti sembrava adatta ad ospitare il progetto di un degno camposanto cittadino, e così fu.

Il 7 novembre 1798 vi fu l'inaugurazione in presenza di una gran folla di pavesi e del prevosto locale, che celebrò una Messa solenne. Inizialmente, il cimitero fu costituito da un semplice muretto ricoperto di tegole e chiuso da un grande cancello in ferro battuto. All'inizio non fu un camposanto ampiamente utilizzato, per il fatto che gran parte dei pavesi non volevano che i loro cari defunti venissero sepolti lontano dalle chiese del centro; a quei tempi, nobili e borghesi preferivano inumare i loro familiari presso chiese e conventi di loro proprietà, oppure presso i loro stessi terreni. Per quasi cent'anni, il cimitero di Pavia fu un campo incolto, con fosse scavate senza un ordine preciso, in un terreno mal livellato e senza ripari contro le intemperie.

Poco tempo dopo la proclamazione dell'Unità d'Italia, il comune di Pavia diede inizio a lavori di miglioramento, trasformando il vecchio campo nell'odierno cimitero; tale incarico venne prima affidato all'architetto milanese Vincenzo Monti e dopo la morte di quest'ultimo ad un suo allievo, Angelo Savoldi. I lavori iniziarono il 29 agosto 1879 e terminarono nel 1912. Nell'atrio del monumento venne realizzato un piccolo Pantheon dei cittadini di Pavia più illustri, con i loro nomi incisi su lapidi di marmo.

Cimitero monumentale di Legnano

Il cimitero monumentale di Legnano si trova lungo corso Magenta, nella periferia sud della città, ed è stato inaugurato nel 1898.

Legnano è anche dotata di un cimitero parco, che è di più recente costruzione e si trova alle porte della città. La sua costruzione fu decisa negli anni sessanta perché il cimitero monumentale era divenuto insufficiente per le esigenze della comunità. È stato inaugurato il 15 luglio 1979, ed ha una superficie di 60.000 m2[1].

Le tracce più antiche di sepolture trovate a Legnano sono delle necropoli di epoca preistorica. I resti di un primo vero e proprio cimitero, inteso nel senso moderno del termine, sono però di epoca romana, e sono delle inumazioni rinvenute nella periferia ovest della città. Più precisamente, sono state trovate delle urne cinerarie e l'Ustrium, cioè la fossa dove gli antichi romani cremavano i propri morti.

Con la costruzione dei primi edifici cristiani sorse il problema di individuare aree ben precise per le sepolture, dato che si iniziò a seppellire i morti nei pressi dei templi. La nuova religione infatti imponeva la sepoltura della salma completa, vietando la cremazione. Il luogo della sepoltura era stabilito in base alla classe sociale a cui apparteneva il defunto. Più precisamente i nobili erano inumati all'interno del perimetro delle chiese, mentre defunti del popolo erano sepolti in fosse comuni al di fuori dei suddetti edifici religiosi. Nel medioevo i templi legnanesi che erano maggiormente interessati al fenomeno, erano la chiesa di San Martino, la chiesa di Sant'Ambrogio e soprattutto la chiesa di San Salvatore, cioè l'edificio religioso che si trovava dove ora sorge la basilica di San Magno ed a cui la comunità legnanese faceva riferimento prima della costruzione della Basilica appena citata. Quest'ultimo camposanto era ubicato nell'odierna piazza San Magno, e continuò ad essere adoperato anche dopo la costruzione della basilica. Successivamente fu realizzata una grande stanza sotterranea dove venivano inumati i defunti; questa decisione fu presa perché il Richini nel 1610 spostò l'ingresso della basilica dalla posizione originale, che dava verso l'attuale municipio, all'odierna, cioè verso il lato ovest del tempio. Questo cimitero era conosciuto come "il foppone" e fu utilizzato fino al 1808. Infatti, dopo una disposizione dell'imperatore Giuseppe II emanata nel 1786 che vietava l'uso delle fosse comuni, a cui seguì un'analoga ordinanza di Napoleone, la comunità legnanese fu obbligata a dotarsi di un nuovo cimitero fuori del centro abitato.

Questo camposanto aveva una superficie iniziale di 3.000 m2, successivamente aumentati a 5.500 m2, e si trovava nell'area ora occupata dalle scuole Bonvesin della Riva, vicino al santuario della Madonna delle Grazie. Tra il 1808 ed il 1898 accolse le spoglie di 21.896 legnanesi. Le tombe presenti erano di semplice fattura, ed erano generalmente formate da una lapide con l'iscrizione. Solo poche sepolture possedevano una sorta di edicola in cui era dipinto il volto del defunto. All'epoca della dismissione del vecchio cimitero, tre di questi ultimi sono stati tolti dalla posizione originaria ed ora sono esposti al Museo civico della città. Raffigurano i pittori legnanesi Antonio Maria Turri, Beniamino Turri e Mosè Turri. L'ubicazione del vecchio cimitero fu scelta in tale posizione perché la via era praticata solitamente dai legnanesi per recarsi alla chiesa menzionata.

L'antico cimitero di Legnano, che si trovava nell'area ora occupata dalle scuole Bonvesin della Riva, vicino al santuario della Madonna delle Grazie. È stato in uso dal 1808 al 1898, cioè fino a quando venne inaugurato il cimitero monumentale di Legnano

A causa dell'incremento di popolazione di fine XIX secolo, l'Amministrazione comunale di Legnano decise di costruire un nuovo cimitero, l'attuale monumentale, poiché quello vecchio non poteva più essere ingrandito per via delle strade e delle abitazioni che sorgevano intorno.

Il cimitero

L'odierno cimitero monumentale fu inaugurato il 24 luglio 1898 ed aveva una superficie iniziale di 18.942 m2. Furono previsti dei colombari che accolsero, tra l'altro, le spoglie dei legnanesi sepolti nel vecchio cimitero, mentre le salme inumate nelle tombe più ricche, cioè quelle provviste di edicole, vennero posizionate lungo i viali principali. Progettato dall'ing. Renato Cuttica, il nuovo cimitero monumentale fu provvisto di abitazione del custode, depositi e camera mortuaria. Nei pressi delle mura della recinzione vennero posizionate le cappelle delle famiglie legnanesi più abbienti, mentre al centro del camposanto venne edificata una cappella in arenaria di color grigio per i credenti. In fondo al vialone principale vennero invece seppelliti i caduti delle guerre.

Il cimitero monumentale fu ampliato nel 1907 fino ad una superficie di 50.000 m2. Nell'occasione furono costruiti nuovi colombari, nuovi campi di sepoltura ed una nuova area adibita a fossa comune. Dopo la seconda guerra mondiale, data l'esplosione demografica che interessò Legnano, il camposanto fu insufficiente ad ospitare le nuove salme. Il Comune di Legnano decise quindi, nel 1976, di costruire un nuovo cimitero, nella periferia della città, nel quartiere di San Bernardino. Questo nuovo camposanto, pensato e realizzato come un "cimitero parco", è stato inaugurato il 15 luglio 1979 ed accoglie ancora oggi le salme dei defunti legnanesi. Dal 15 gennaio 2013 è operativa una convenzione stipulata con il movimento Difendere la vita con Maria per garantire la sepoltura dei bambini non nati.

Nel cimitero monumentale riposano, tra le altre, le spoglie di Mauro Venegoni, un esponente della resistenza legnanese vittima dei nazifascisti[7], di Gianfranco Ferré, uno dei più famosi stilisti italiani di Felice Musazzi fondatore, regista ed attore della compagnia teatrale dialettale de I Legnanesi e di Franco Tosi, imprenditore fondatore dell'omonima azienda meccanica.

 

Cimitero Monumentale di Lecco

Il Cimitero Monumentale a Lecco è un museo a cielo aperto. Luogo della memoria dove trovano riposo l’Abate Stoppani, Antonio Ghislanzoni.

Forse pochi sanno ma racchiude opere in marmo e bronzo di noti artisti lecchesi e non, che risalgono anche a fine Ottocento. Per il suo valore artistico è stato inserito dal 2010 nella European Cemeteries Route.

Un’ampia area suddivisa in maniera ortogonale con quattro campi destinati alle sepolture comuni, sui lati perimetrali sepolture private temporanee e perpetue e sul fronte meridionale, a ferro di cavallo, le cappelle per sepolcri di famiglia, al cui centro e frontale rispetto al porticato di ingresso trova spazio una cappella ottagonale con cupola a padiglione.

Luogo della memoria e degli affetti, il Cimitero Monumentale, inaugurato nel 1882, ospita scultore e bassorilievi di noti artisti, tra i quali si ricordano Giulio Branca ( 1850 -1926) le cui opere variano tra i modelli del tardo-classicisimo e i modi pittorici della scapigliatura, Francesco Confalonieri (1850 – 1925) classicista e con il maggior numero di opere presenti, Emilio Agnati (1875 – 1939), Giannino Castiglioni (1884 – 1971) di cui Lecco ospita anche l’imponente monumento ai Caduti sul lungolago, Pablo Atchugarry, Giuseppe Milani. Non solo questi, ma tanti altri trovano posto con le loro opere in questo luogo della memoria privata e collettiva della città.

Nomi noti sono trovano riposo al monumentale, tra questi il celeberrimo Abate Antonio Stoppani, geologo e naturalista lecchese scrittore del Bel Paese, i fratelli Carlo e Giusepep Torri-Tarelli che parteciparono alla spedizione dei Mille, Antonio Ghislanzoni, il librettista lecchese dell’Aida di Verdi.


Ospedale San Raffaele: dall’inizio dell’emergenza in prima linea

È necessario e doveroso evidenziare come l’Ospedale San Raffaele di Milano abbia risolto il grosso problema riferito alla permanenza di deceduti all’interno delle sue camere mortuarie, senza un particolare impegno di risorse economiche, ma ricorrendo a soluzioni ingegnose e concrete, con l’obiettivo di garantire la massima attenzione al paziente deceduto e ai suoi familiari.

Sappiamo che, dall’insorgenza della pandemia da SARS CoV2, quasi tutte le strutture sanitarie sono state sottoposte ad uno stress test al limite delle loro capacità operative e strutturali.

Molte mortuarie hanno ospitato decine e decine di feretri, come abbiamo ben impresso nella nostra memoria, dalle immagini provenienti da Bergamo e da quella tanto decorosa quanto lacerante colonna di mezzi militari.

Strutture milanesi, come il Niguarda, sono persino ricorse all’utilizzo delle proprie cappelle per far degnamente sostare le troppe casse in attesa di essere trasferite alla loro destinazione finale.

Dall’osservazione di queste impegnative situazioni nasce l’idea tanto semplice quanto efficace del Dottor Paolo Mandelli, Responsabile della Medicina Legale e del Servizio Mortuario dell’Ospedale San Raffaele di Milano, medico da sempre attento alla corretta gestione del Servizio Mortuario dell’Ospedale San Raffaele, che conta 12 celle di conservazione, 10 postazioni di osservazione per le salme e 6 camere ardenti, da cui le imprese milanesi quotidianamente eseguono le partenze dei defunti.

 

Il San Raffaele dall’inizio dell’emergenza è stato in prima linea.

Innanzitutto, grazie alla raccolta fondi avviata dal cantante Fedez e dalla moglie Chiara Ferragni, per aumentare la propria capacità ricettiva ha realizzato due terapie intensive da 14 e 10 posti letto, convertendo le tensostrutture del campus sportivo universitario, che prima ospitavano un campo da calcetto e un campo da basket.

Questa scelta coraggiosa e necessaria per la cura della popolazione, assieme al complessivo potenziamento dei posti letto di terapia intensiva dell’Ospedale, ha determinato un rilevante incremento di presenze contemporanee di pazienti critici ospedalizzati dalla quale, purtroppo, è risultato un netto incremento del numero di pazienti che, a causa della particolare virulenza della malattia, sono deceduti nonostante le cure intensive somministrate.

Per cercare di “governare” la pressione dei decessi sul Servizio Mortuario ospedaliero che, nonostante la sua notevole recettività, ha registrato un aumento dei defunti pari al 49,2% rispetto al medesimo periodo di riferimento del 2019 (3 marzo - 21 aprile), sono stati noleggiati, con una spesa assai contenuta, due container termici dotati di impianto di refrigerazione, alimentati con comune corrente elettrica industriale capaci di operare garantendo il mantenimento di una temperatura interna di +4° C, che normalmente vengono utilizzati nelle tratte marittime per il trasporto di derrate deperibili.

Questi container riescono ad accogliere ciascuno 12/15 barelle con piatti o fino a 20 feretri e sono stati collocati strategicamente il primo nelle immediate adiacenze del Servizio Mortuario centrale, ed il secondo all’interno del complesso della nuova terapia intensiva “da campo”; ambedue i container sono connessi ai Servizi con una copertura tanto essenziale, quanto funzionale, creando uno spazio dedicato nel quale è possibile eseguire 3 o 4 incassamenti contemporaneamente, nel pieno rispetto della riservatezza e della dignità dei dolenti che vi volessero assistere.

In pratica è stata creata dal nulla una mortuaria bis nella quale il corpo può essere tempestivamente gestito in modo ottimale dopo l’esecuzione del tanatogramma, effettuato direttamente al letto, e la valutazione del necroscopo.

Egli può, ove necessario, disporre l’incassamento immediato del cadavere, in accordo con l’impresa individuata dai famigliari, ed il suo successivo deposito che comunque avviene in un ambiente che garantisce le migliori condizioni di conservazione ed alla presenza dei familiari che desiderano salutare per l’ultima volta il loro caro.

Mantenere la continuità dell’alto standard operativo, anche in condizioni eccezionali, senza mai dimenticare la possibilità di garantire ai dolenti il saluto al proprio caro, nelle migliori condizioni di sicurezza e conservazione è l’obiettivo perseguito e raggiunto.

“Garantire il massimo rispetto e la massima cura del paziente, anche quando deceduto, è parte della nostra mission di “raffaeliani”. È un impegno che sentiamo ancora più cogente in questo eccezionale frangente, nel quale le persone si trovano assai di frequente a morire da sole. È necessario garantire ai familiari di questi pazienti la presenza di setting, anche ambientali, che non peggiorino il loro trauma ma che, nel limite del possibile, aiutino correttamente ad elaborare ed a superare il lutto.” (Dott. Paolo Mandelli).

Complimenti e ringraziamenti, da parte di tutti noi di Federcofit, vanno a tutto il comparto sanitario sia pubblico che privato, per l’abnegazione e la capacità esercitata quotidianamente per affrontare questo tanto invisibile quanto inesorabile nemico.

Naturalmente un particolare attestato di stima e ringraziamento a tutta l’equipe sanitaria e amministrativa dell’Ospedale San Raffaele, e nello specifico a quella guidata dal Dott. Paolo Mandelli e dal suo collaboratore Paolo Pecchio e da tutti gli altri operatori del Servizio, per averci dedicato un po' del loro prezioso tempo.

Riccardo Salvalaggio
Segretario Nazionale Feder.Co.F.It.


Autunno 2020: i corsi di formazione a Milano

[conclusi: vai su FORMAZIONE per i corsi più recenti]

Da settembre 2020, la formazione professionale di Federcofit riprende con nuovi appuntamenti a Milano:

trovi tutte le informazioni sul sito Federcofit.it

clicca sulle immagini per visitare il sito Federcofit

Sono aperte le iscrizioni ai corsi di formazione anno 2020 a Milano per: Necroforo, Addetto al trasporto, Direttore tecnico, Tanatoestetica.


Forni crematori in Italia: Aosta

Dopo aver parlato della cremazione e del suo sviluppo nel nostro Paese, e dopo avere pubblicato l’elenco dei crematori oggi in attività regione per regione, iniziamo a presentare su Hermes funeraria i singoli impianti con le informazioni essenziali ed utili per gli operatori funebri che debbano fare affidamento a queste strutture nel proprio territorio di intervento.

 

c/o Civico Cimitero Via Piccolo San Bernardo 77, 11100 Aosta

Tel tempio crematorio 0165-553878 ;
Email: servizicimiteriali@aps.aosta.it

Orari: dal 1 ottobre al 4 novembre 9.00-18.00, dal 5 novembre al 31 marzo 9.00-17.00, dal 1 aprile al 30 settembre 9.00-19.00.

clic qui per tornare all'elenco completo dei crematori italiani

Tutti i prezzi sono aggiornati alla data di pubblicazione, e potrebbero quindi essere stati modificati dall'Operatore.

Clic qui per scaricare il PDF del database con i forni crematori in Italia (aggiornamento marzo 2020).


Roma: incontro di Federcofit con il Direttore dei servizi funebri e cimiteriali di AMA SpA

Venerdì 26 giugno una delegazione di Federcofit guidata dal Segretario Salvalaggio e dal VicePresidente Caciolli è stata ricevuta dal nuovo Direttore dei servizi funebri e cimiteriali di AMA Spa ing. Fabrizio Ippolito.

Incontro doveroso richiesto dalla Federazione non solo per conoscere il nuovo dirigente dei servizi essenziali per il buon andamento delle attività funebri e cimiteriali ma anche per rappresentare al Dirigente i punti di vista della Federazione sui vari temi di attualità e, soprattutto, per esprimere la volontà di Federcofit a sviluppare rapporti collaborativi con la struttura comunale chiamata a gestire un ruolo importantissimo nella funeraria romana.

La Federazione ha chiarito questa volontà che, ovviamente, travalica le diversità di posizioni e le polemiche che si sono sviluppate, e che potranno ancora avere luogo, perché non solo siamo rispettosi dei ruoli che ogni soggetto deve interpretare, ma soprattutto perché, senza lo sviluppo di rapporti collaborativi sarà sempre più difficile trovare ed attuare soluzioni ai tanti e gravi problemi del settore nella Capitale.

Consideriamo molto positiva la condivisione da parte della Dirigenza di AMA Spa di queste convinzioni e l’impegno a recepire una tradizionale proposta di Federcofit: istituire una sorta di “tavolo di lavoro” aperto alle diverse componenti rappresentative del settore per affrontare progressivamente e con cadenze precise i tanti problemi sul tappeto. Nessuno possiede, infatti, formule salvifiche o miracolose, il convergere di tutti, però, su obiettivi chiari e definiti può riaprire positive speranze che riescano a superare quel pessimismo che spesso rischia di prendere il sopravvento.

Federcofit ha sottolineato alcuni temi prioritari da affrontare e cioè:

  1. rigore e trasparenza nelle singole operazioni e da parte dei singoli operatore, anche nei rapporti con le famiglie (obbligo di delega e verifica di tale rispetto) ampliando progressivamente l’utilizzo degli strumenti informatici, con l’obiettivo di pervenire alla certificazione degli operatori stessi con accredito informatico e permettere progressivamente agli operatori accreditati l’accesso ai database dei Cimiteri Romani;
  2. controllo dei requisiti di legge per gli operatori funebri e cimiteriali,
  3. vigilanza sugli interventi delegati agli operatori cimiteriali e miglioramento dell’offerta di Loculi cimiteriali,
  4. affrontare la complessa materia della cremazione a Roma sempre più critica,
  5. rivedere le procedure di affidamento dei servizi istituzionali: funerali gratuiti, recupero salme, ecc.

Le prossime settimane ci diranno se si possono coltivare positive speranze.

NOTA A ASL ROMA1

Gli operatori romani ricorderanno che nel lontano 2019, dopo che il Presidente Zingaretti aveva presentato una proposta di legge che proponeva la reinternalizzazione della gestione delle Camere Mortuarie la ASL Roma1 procedette (gennaio 2019) ad appaltare tali servizi senza, ovviamente, definire alcuna incompatibilità per gli operatori funebri. Immediata fu la protesta della categoria a partire da Federcofit. In risposta alle rimostranze la Direzione di ASL Roma1 scrisse a Federcofit (maggio 2019) che “proprio nella consapevolezza dell’esigenza di reinternalizzare la gestione dell’attività –nel solco delle indicazioni regionali- si è limitato a soli 12 mesi il periodo di affidamento e si è contestualmente costituito un gruppo di lavoro interdisciplinare con l’obiettivo di realizzare, nel medesimo arco temporale, la completa riconduzione delle attività a personale aziendale”.

Con la fine, sostanziale, dell’emergenza covid-19, la Federazione ha pensato bene di riprendere questo tema di fondamentale importanza inviando una nota che di seguito riportiamo.

ASL Roma 1
Direttore Generale dott. Angelo Tanese
Responsabile UOC Logistica Ing. Paola Brazzoduro
Direttore Amministrativo dott.ssa Cristina Matranga 

p.c.         Presidente regione Lazio On. Nicola Zingaretti
Vicepresidente reg. Lazio On. Daniele Leodori

 

Milano, 16 luglio 2020
Prot. N° 147

Gent. Direttore Generale,
nel maggio dello scorso anno Federcofit ha trasmesso anche alla Sua attenzione una nota circa il bando di affidamento della Gestione delle Camere Mortuarie delle strutture sanitarie San Filippo Neri e Santo Spirito da Lei dirette e relativo affidamento, guarda caso, ad un operatore funebre e dopo non solo le marcate contestazioni delle organizzazioni del settore a causa dei frequenti scandali e, soprattutto, dopo le conclamate volontà espresse dal Presidente della Giunta Zingaretti con un specifica proposta di legge di procedere alla reinternalizzazione dei suddetti servizi mortuari ospedalieri.

Nella nota Prot. n. 81196 del 31 maggio 2019 Lei, unitamente ai suoi collaboratori, informava i vari interessati che “nella consapevolezza della esigenza di reinternalizzare la gestione delle attività –nel solco delle indicazioni regionali- si è limitato a soli 12 mesi il periodo dell’affidamento e si è contestualmente costituito un gruppo di lavoro interdisciplinare con l’obiettivo di realizzare, nel medesimo arco temporale, la completa riconduzione delle attività a personale aziendale”.

Il periodo di un anno dalla aggiudicazione è stato abbondantemente superato.

Abbiamo sospeso ogni intervento a causa dell’insorgenza dell’epidemia da coronavirus che ha drammaticamente interessati il paese per lunghi mesi, dal febbraio del corrente anno.

Con la presente, oltre a significare la ripresa della puntuale attenzione su un tema prioritario per la funeraria romana, vogliamo conoscere lo stato dell’arte e sapere se gli impegni assunti e formalmente comunicati nel lontano 2019 sono stati realizzati.

In attesa di un sollecito riscontro distinti saluti.

Attendiamo una risposta per riprendere l’iniziativa su un tema, la gestione delle camere mortuarie delle strutture sanitarie, assolutamente centrale per dare un minimo di regolarità e trasparenza al settore funebre.


Forni crematori in Italia: Padova

Dopo aver parlato della cremazione e del suo sviluppo nel nostro Paese, e dopo avere pubblicato l’elenco dei crematori oggi in attività regione per regione, iniziamo a presentare su Hermes funeraria i singoli impianti con le informazioni essenziali ed utili per gli oratori funebri che debbano fare affidamento a queste strutture nel proprio territorio di intervento.

c/o Cimitero Maggiore Via del Cimitero 10 35136 Padova

Aps Holding s.p.a.
Società soggetta all'attività di direzione e coordinamento del Comune di Padova
Via Salboro 22/b - 35124 Padova
Tel: +390495660111 - Fax +390495660112
email:  info@apsholding.it
PEC:  apsholding@legalmail.it
Cod. Fisc./P.IVA 03860240286 - REA PD: 342892 Cap. sociale i.v. euro 32.308.316,00

Orari

L’accoglienza dei servizi funebri, destinati alla cremazione, è possibile nei seguenti giorni:

da Lunedì a Venerdì 07,15 – 18,00

Sabato e prefestivi 07,15 – 14,00

TARIFFE CREMAZIONE

Defunti residenti € 240,00
Defunti residenti minori di 10 anni € 120,00
Salme da operazioni straordinarie € 360,00
Defunti non residenti € 511,00
Resti mortali € 180,00
Resti mortali da operazioni straordinarie € 360,00
Resti mortali provenienti da altro Comune € 409,00
Parti anatomiche riconoscibili € 340,00
Feti e prodotti del concepimento € 150,00
Cremazione ed esumazione ordinaria (senza rimborso in caso di rinuncia alla cremazione) € 230,00
Dispersione all’interno del cimitero € 110,00

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Tutti i prezzi sono aggiornati alla data di pubblicazione, e potrebbero quindi essere stati modificati dall'Operatore.

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Cimiteri d'Italia: la Sicilia

La più estesa delle nostre isole offre anche un gran numero di preziose testimonianze della tradizione funeraria locale e della storia della nostra Patria, le visitiamo con questa carrellata tra i cimiteri più importanti di Sicilia.

Cimitero monumentale degli Angeli

Il cimitero monumentale degli Angeli o cimitero degli Angeli è il cimitero di Caltanissetta. Fu aperto nel 1878 nelle vicinanze della chiesa di Santa Maria degli Angeli e del castello di Pietrarossa.

La costruzione del cimitero monumentale di Caltanissetta fu deliberata dal consiglio comunale il 23 marzo 1878 con uno stanziamento di 126.000 lire dell'epoca. I lavori iniziarono lo stesso anno seguendo, così, una tradizione iniziata in altre parti d'Italia con Napoleone.

La delibera faceva seguito ad un'accesa discussione svoltasi nei cinque anni precedenti; tra i siti valutati vi erano un terreno nella zona dell'abbazia di Santo Spirito, un terreno in contrada Balate, uno in contrada Firrio e quello, poi scelto, vicino al convento di Santa Maria degli Angeli. Questo sito fu preferito per la sua esposizione, per la natura drenante del terreno calcareo, per relativa vicinanza all'abitato cittadino e per la «romantica mestizia che vi spira attorno». Una certa rilevanza può aver avuto nella scelta del sito anche il fatto che il convento dei frati minori osservanti fosse stato adibito dal 1867 come lazzaretto per i malati delle frequenti epidemie di colera dell'epoca.

Il progetto fu dell'ingegnere Alfonso Barbera, lo stesso che aveva progettato la facciata del Comune e del Teatro Margherita.

Il cimitero degli Angeli è posto sopra una collina argillosa che domina la valle dell'Imera meridionale, nelle vicinanze del castello di Pietrarossa, ivi edificato in epoca bizantina, per un controllo strategico della valle.

Il cimitero permette una visione panoramica per la sua posizione sopraelevata di paesaggi del centro Sicilia meridionale ricchi di colline argillose e calanchi. Lungo l'asse est-ovest si osservano la Serra della Difesa con il suo Vallone della Difesa e Iuculia ad est si osserva il monte di Sabucina con il suo sito archeologico. In direzione nord si osservano il monte San Giuliano con il suo monumento al Redentore e la collina di Sant'Anna con l'antenna RAI, colline queste che dominano l'intero abitato nisseno.

Il cimitero si sviluppa, lungo una forte pendenza lungo l'asse sud, con viali interni sinuosi cui si affacciano cappelle gentilizie tra le quali per il loro valore architettonico e artistico si distinguono quelle delle famiglie nobiliari costruite dagli architetti Pasquale Saetta e Alfonso Barbera: tra di esse, le più note sono quelle degli Amato-Salvati, Calafati, Difìglia, Falduzza, Giarrizzo, Lanzirotti, Mazzone, Messina-Sapienza, Trigona della Floresta e Testasecca.

Interessante è anche la cappella del Senatore Morillo, barone di Trabonella, la cui facciata fu progettata dall'ingegnere Nuara nel 1912. Questa cappella è ricavata da un anfratto della rocca di Pietrarossa su cui si ergono sovrastando il cimitero i ruderi del castello. Si ritiene che essa sia stata ricavata da un ambiente già abitato in epoca bizantina del castello.

Il cimitero degli Angeli è uno dei due cimiteri di Caltanissetta, l'altro è il piccolo "cimitero dei Carusi" presso la miniera Gessolungo creato a ricordo di una disgrazia mineraria del 12 novembre 1881 dove persero la vita 19 carusi di cui nove rimasti senza nome.

Cimitero monumentale di Caltagirone

Il cimitero di Caltagirone è un importante cimitero monumentale siciliano, realizzato nella seconda metà del 1800. Si trova nella via Nicastro, a tre chilometri dal centro abitato. Viene chiamato cimitero del Paradiso, dal nome della contrada omonima in cui sorge. Fu dichiarato monumento nazionale nel 1931.

Nel 1852, don Pasquale Gravina, un nobile calatino, invitò l'architetto Giovan Battista Filippo Basile a realizzare un progetto per il camposanto di Caltagirone, ma il piano realizzato da costui non ebbe seguito, perciò nel 1866 la progettazione venne affidata all'architetto Giovan Battista Nicastro che due anni prima aveva realizzato il palazzo di Città.

Nel 1875 i lavori erano già in stadio avanzato e si presentava come è nei tempi odierni ad eccezione della chiesa centrale. Il complesso, realizzato in stile gotico-siciliano, ha pianta quadrata con croce greca costituita da 170 arcate, che vanno a formare i portici che costituiscono le quattro vie principali.

L'architetto Nicastro utilizzò materiali facilmente reperibili in Sicilia, quali la pietra bianca del ragusano, la pietra lavica e la terracotta. L'area del cimitero, inizialmente di ventimila metri quadrati, è stata in seguito notevolmente ampliata.

Il cimitero è ricco di pitture, sculture, fregi e capitelli, che lo rendono monumento nazionale e meta di visitatori. Lungo l'asse nord-sud vi sono gli elementi più importanti: il portico d'ingresso, il Famedio, l'Ossario, interrato e posto al centro della croce greca nella piazza ottagonale.

Cimitero monumentale di Catania

Il cimitero monumentale di Catania sorge in via Acquicella, nell'omonimo quartiere a nord della Zia Lisa, fu aperto nel 1866, su di un terreno che in precedenza apparteneva alle monache di Santa Chiara.

Dopo l’editto di Saint Cloud e dopo il Congresso di Vienna il Regno delle Due Sicilie legiferò nel 1817 sulla falsariga del famoso editto francese. In questo periodo il duca di Sammartino propose al consiglio provinciale di realizzare un cimitero per ottemperare al termine ultimo del 1º gennaio 1831 fissato dal decreto reale del 12 dicembre 1828, il quale intimava che entro tale data fossero ultimati tutti i cimiteri del regno.

Nel 1835 nella zona della Plaia si iniziò la costruzione di un camposanto, per far fronte alla grave epidemia di colera del 1837, l'incarico fu affidato a Sebastiano Ittar, ma il luogo scelto non era adatto in quanto il terreno era fortemente sabbioso e i cani riuscivano a dissotterrare i corpi, quindi non era conforme alle direttive vigenti in materia.

A marzo del 1856, l'ingegnere Eligio Sciuto riceve l'incarico per redigere il progetto del cimitero che sarebbe sorto su di un terreno comunale, denominato "Fondo del Crocifisso", conforme ai regolamenti del regno, ma gli eventi politici accaduti nel 1860, quali lo sbarco a Marsala dei Garibaldini, la caduta dei Borboni e la costituzione del Regno d'Italia, ostacolano la prosecuzione del progetto.

Le leggi Siccardi del 1866 e del 1867 abolirono le corporazioni religiose e ne confiscarono i beni, tra i quali la tenuta di Santa Chiara, ove vi era un vigneto. Il terreno, ritenuto adatto alla costruzione del camposanto, sia per le caratteristiche tecniche, per la sua posizione geografica, si trovava in contrada Acquicella. All'epoca il centro abitato era distante circa un chilometro dal luogo dove sarebbe sorto il cimitero, inoltre la sua posizione era favorevole ai venti dominanti, condizione necessaria per rispettare appieno la legge sulla sanità pubblica del 20 marzo 1865 e il successivo regolamento dell'8 giugno di quello stesso anno.

Il cimitero aprì nel 1866, circoscritto da una recinzione in legno: ora non restava che provvedere al lato artistico del progetto, l'incarico di trovare un progettista fu dato all'ingegnere comunale Ignazio Landolina, che contattò dapprima il professor Mariano Falcini di Firenze, ma il suo progetto fu accantonato. In seguito la scelta cadde su Leone Savoja, che si era brillantemente occupato del cimitero monumentale di Messina; il 15 ottobre del 1871 fu emanata la delibera che rese Savoja ingegnere specialista per la sistemazione del camposanto.

Furono costruiti due ingressi, quello principale, costituito da un corpo di fabbrica in stile neoclassico a tre fornici chiusi da cancelli e quello secondario che dà accesso diretto al viale delle Confraternite. Il terzo ingresso in Via Acquicella, fu realizzato negli anni sessanta del Novecento a seguito dell'ampliamento del camposanto.

Cimitero militare germanico di Motta Sant'Anastasia

Il cimitero militare germanico è situato a Motta Sant'Anastasia in provincia di Catania. Tra gli altri, vi è sepolto Luz Long campione di atletica (medaglia d'argento in salto in lungo alle olimpiadi di Berlino nel 1936).

Nel 1954 venne stipulato un accordo tra il governo tedesco e quello italiano in base al quale venne scelta un'area in cui seppellire tutti i caduti tedeschi morti durante la seconda guerra mondiale in Sicilia. Il cimitero venne inaugurato il 25 settembre 1965. Dopo importanti lavori di ristrutturazione è stato riaperto ufficialmente il 29 aprile 2011.

Il cimitero è collocato ai margini della strada che conduce al paese di Motta Sant'Anastasia.

Il cimitero militare aveva una struttura che, in origine, era rettangolare e misurava 43x32 metri. La struttura ha subìto negli anni dei mutamenti ed ha assunto una forma che possiamo definire "semi rettangolare". L'area sepolcrale è collocata nei sotterranei non accessibili perché murati; qui vi sono sepolti 4.561 caduti tedeschi nella seconda guerra mondiale. La raccolta dei corpi è stata effettuata dal Volksbund Deutsche Kriegsgräberfürsorge che si occupa anche della manutenzione dell'area.

L'ingresso è costituito da un atrio lastricato in travertino. Qui è collocata una stele che recita:

«IN DIESER KRIEGSGRÄBERSTÄTTE RUHEN 4561 DEUTSCHE GEFALLENE
VON IHNEN BLIEBEN 451 UNBEKANNT
1939 – 1945
IN QUESTO MAUSOLEO RIPOSANO 4561 CADUTI GERMANICI
451 SONO RIMASTI SCONOSCIUTI»

Una volta entrati, attraverso una scalinata ci si trova in un cortile denominato Kameradengrab. In questa area è presente una lapide contenente i nomi di 31 soldati che qui sono sepolti. In altre otto lastre di pietra sono ricordati i nomi di 128 soldati tedeschi caduti durante le operazioni in Sicilia negli anni 1941 - 1943. Al centro del cortile è posta una statua in bronzo raffigurante un uomo morente, fortemente espressiva e di ottima fattura. Da questo cortile si può accedere ad altri quattro cortili dove su lastre di ardesia sono ricordati i nomi dei caduti ospitati nei sotterranei.

I quattro cortili ospitano le tombe dei caduti suddivisi per province.

Cimitero monumentale di Paternò

Il cimitero monumentale di Paternò sorge in via degli Svevi nella parte meridionale dello storico colle di origine vulcanica ("Collina storica"), situato nella zona occidentale del territorio di Paternò, in provincia di Catania.

Le leggi del 1866 di confisca dei beni ecclesiastici portarono alla soppressione del convento dei cappuccini situato nel colle paternese. Il terreno ad esso adiacente venne requisito per la costruzione del cimitero, che venne inaugurato nel 1887. Parte dei locali furono adibiti a uffici comunali per i servizi cimiteriali e deposito delle salme.

Dell'ex convento oggi rimane soltanto la cappella dei frati, ossia, l’attuale chiesa di Santa Maria delle Grazie, attigua all'ingresso principale del cimitero. Sul lato sinistro dell'ingresso principale del cimitero, vi è incisa una lapide che ricorda la sepoltura di militari ungheresi della prima guerra mondiale morti durante la loro prigionia a Paternò.

Il cimitero è stato costruito secondo alcuni storici su quella che era la città greco-romana, o per lo più in quel sito. I vialetti le scalinate e le stradine interne, erano le vecchie strade che soprattutto in epoca greco-romana solcavano il luogo.

La maggior parte delle Cappelle gentilizie e confraternali sono in stile liberty, e rappresentano delle vere e proprie opere d'arte.

Le tombe-mausoleo per gran parte sono costruite in marmo, ornate da statue di Madonne, Gesù angeli, putti santi vari e decorazioni varie, busti marmorei e lapidi elaborate.

La superficie si estende per buona parte del lato posteriore della "Collina storica" è confina con la chiesa di Santa Maria dell'Alto. La parte meridionale si affaccia sulle campagne di contrada San Marco da cui si gode un magnifico panorama sulla valle del Simeto. Questa ubicazione rende il luogo molto suggestivo e quasi unico nel suo genere, per questo è considerato tuttora uno dei cimiteri più romantici e incantevoli d'Italia e nella parte superiore è confinante con la chiesa di Santa Maria dell'Alto.

Cimitero degli inglesi di Messina

Il cimitero degli inglesi sorgeva inizialmente nella zona di San Raineri nel sito “La Spina”, presso la zona Falcata della città di Messina. Fu concesso dal re Ferdinando IV ai marinai inglesi, giunti in Sicilia in aiuto dei Borboni, che si opponevano ai tentavi di conquista dei francesi guidati da Napoleone.

Dopo le guerre napoleoniche, il camposanto cominciò a ospitare civili inglesi con le loro famiglie stabilitesi a partire dal 1815. Ad essi si aggiunsero famiglie di mercanti tedeschi (Grill, Aders, Falkenburg, Jaeger), svizzeri, danesi, greci e russi, che risiederono a Messina almeno fino al terremoto del 1908.

Il 5 aprile 1925, il cimitero fu visitato dal re Giorgio V e dalla regina Mary, accompagnati dai Principi Giorgio e Maria Vittoria.

Nel 1942 fu trasferito all'interno del Gran Camposanto, quando il vecchio sito fu utilizzato per scopi militari e durante questa operazione vennero spostate 280 tombe.

Lapide che commemora la visita del re Giorgio V del Regno Unito

Il cimitero nell'Ottocento era curato dalla comunità inglese.

Il cimitero inglese si trova salendo dalla via San Cosimo (adiacente al Gran Camposanto) e dalla stessa entrata si accede verso la zona sud del cimitero monumentale di Messina.

Nel cimitero inglese si possono ammirare i monumenti funerari di ricchissimi esponenti della Messina dell'Ottocento, tra i più importanti Federico Grill, banchiere molto popolare e amato dal popolo messinese, James Thomas Eaton, proprietario delle filande del villaggio di Gazzi, Giovanni Walser, banchiere e filantropo.

 

Cimitero monumentale di Messina

Il cimitero monumentale di Messina, detto anche Gran camposanto, è uno dei più importanti cimiteri monumentali d'Europa ed è assieme a quello di Staglieno il cimitero monumentale più artistico d'Italia. Al suo interno è presente la gran parte della statuaria e dell'architettura del neoclassicismo messinese. Parte del gran camposanto è il cimitero inglese.

Sorge nei pressi della zona centrale della città, di fronte alla villa Dante sulla via Catania ma si estende per ben ventidue ettari.

Nel 1854, nel periodo in cui una gravissima epidemia di colera flagellava Messina e altre parti della Sicilia, venne emanato il bando di concorso affinché si edificasse un camposanto per la città.

Il bando fu aperto a tutti i progettisti del Regno delle due Sicilie e vide vincitore l'architetto messinese Leone Savoja ma passarono ben sette anni prima che la giunta municipale deliberasse l'esecuzione dell'opera, anche se i lavori più importanti iniziarono nel 1865. Fu inaugurato poi nel 1872.

L'architettura liberty, neogotica e neoclassica del cimitero è arricchita dalla presenza di una lussureggiante vegetazione e dai curatissimi giardini che inframezzano gli spazi sepolcrali. Il cimitero fu concepito sin dalle origini come un vero e proprio parco urbano e può essere definito "la galleria d'arte moderna e contemporanea all'aperto" della città di Messina. Sono tante, infatti, le presenze di artisti locali e non, sia dell'Ottocento che del Novecento, propugnatori in città delle varie correnti artistiche provenienti dal continente, in particolare dalla Francia (purismo, verismo, neobarocchismo, liberty, razionalismo).

Dalla Porta Maggiore del Gran camposanto di Messina, si può notare un suggestivo effetto scenografico, rappresentato da un grande piazzale contornato da fiori posti con un ordine accurato che va a comporre un disegno che raffigura lo stemma della città di Messina con i colori simbolo della città, il giallo e rosso su campo bianco e, in alto, la dicitura Orate Pro Defunctis.

Lateralmente alla Porta Maggiore si snodano i due viali che percorrono la galleria monumentale, che insieme al famedio ospita i sepolcri dei messinesi illustri. Il viale sinistro, che termina nei pressi del cimitero degli inglesi, ospita perlopiù le tombe di politici, patrioti e militari. Nel viale destro, oltre le tombe di letterati e giuristi, da menzionare sono le tombe di Giacomo Natoli, Tommaso Cannizzaro e Gaetano Martino.

Il Cenobio ospita numerosi monumenti sepolcrali di ragguardevole valore artistico. Al piano superiore si trova un grande salone ed una passerella con delle finestrelle che danno sulla chiesa e la scalinata. Conosciuto anche con i nomi di cappella gotica o conventino, la sua progettazione è attribuita a Giacomo Fiore (1808-1893).

Fino al 1908, la cappella fu adibita allo svolgimento di funzioni religiose, fu la sede degli uffici del Gran camposanto e ospitò l'alloggio del cappellano-direttore e del suo coadiutore. Il sisma del 1908 provocò danni agli elementi decorativi senza comprometterne gli elementi strutturali. All'inizio degli anni trenta fu oggetto di un intervento di restauro, nel corso del quale fu anche notevolmente modificata la distribuzione interna. I lavori terminarono nel 1932 e nell'ottobre dello stesso anno fu inaugurato.

I lavori per la costruzione del famedio cominciarono nel 1865 su progetto di Leone Savoja. L'opera fu inaugurata il 27 marzo 1872 e vennero trasferite delle spoglie di Giuseppe La Farina da Torino che furono tumulate nella tomba scolpita da Gregorio Zappalà.

Il famedio è una sorta di mausoleo ed è attraversato da una galleria sotterranea, rassomigliante a delle catacombe, per la tumulazione dei morti. La facciata è caratterizzata da un elegante colonnato ma causa la prematura morte del Savoja, la parte monumentale più bella non fu costruita.

È stato gravemente danneggiato dal terremoto del 1908 che provocò il crollo di parti del complesso e in particolare della copertura, che non fu più ricostruita.

Cimitero acattolico di Siracusa

Il cimitero acattolico di Siracusa si trova a Siracusa, nel parco di Villa Landolina che fa oggi parte del Museo archeologico Paolo Orsi.

Dal momento che le norme della Chiesa cattolica vietavano di seppellire in terra consacrata i non cattolici — tra cui i protestanti, gli ebrei e gli ortodossi — nonché i suicidi, questi, dopo morte, erano "espulsi" dalla comunità cristiana cittadina e inumati fuori dalle mura (o al margine estremo delle stesse).

La famiglia Landolina diede la disponibilità alla realizzazione del "cimitero degli acattolici" nel proprio parco. Il cimitero è di piccole dimensioni e comprende dodici sepolture realizzate nel corso dell'Ottocento per alcuni stranieri di fede non cattolica morti a Siracusa.

Vi sono sepolti il poeta tedesco August von Platen ed alcuni marinai americani che parteciparono alla prima guerra barbaresca (1801-1805), la prima guerra combattuta dagli Stati Uniti d’America al di fuori del territorio americano. Essi sono Joseph Maxwell, Seth Cartee (Carter), William Tyler, James Deblois e George S. Hackey.

Syracuse War Cemetery

Il Syracuse War Cemetery (Il cimitero di guerra di Siracusa), chiamato dai locali semplicemente "Cimitero inglese", è un cimitero di guerra britannico che si trova a Siracusa, in Via per Floridia 10, contrada Canalicchio, lungo la SS 124, nei pressi del Cimitero Comunale. Esso raccoglie le salme dei soldati del Commonwealth caduti in battaglia durante la Seconda guerra mondiale, in tutto il territorio della provincia.

Il cimitero di Siracusa è uno dei tre cimiteri di guerra del Commonwealth presenti in Sicilia. La sua ideazione e la scelta del luogo avvenne già nel 1943, durante la prima fase dello Sbarco in Sicilia, tuttavia, venne ufficialmente istituito, insieme ad altri 51 dislocati sull'intero suolo nazionale, nel 1953, a seguito dell'accordo stipulato a Roma il 27 agosto tra lo Stato italiano ed i seguenti stati: Gran Bretagna, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Sudafrica, India e Pakistan. Fino a quel periodo, infatti, le salme erano state ospitate nel vicino cimitero comunale di Siracusa.

La cura e la manutenzione sono affidate alla Commonwealth War Graves Commission, commissione appositamente creata, nel 1917 ad opera dei Paesi che appartengono al Commonwealth, proprio con lo scopo di curare e mantenere i luoghi di sepoltura ed i monumenti di guerra dei Caduti panbritannici, siti in ogni parte del mondo.

Nel 1955 fu visitato da Winston Churchill e nel 1990 dal Principe Edoardo, Duca di Kent, in visita ufficiale nella città aretusea.

Il cimitero di Siracusa è suddiviso in due file parallele di quattro settori e sul fondo campeggia una grande croce latina di marmo bianco; al suo interno vi sono quattro monumenti, uno recante l'iscrizione "ritenuto di essere seppellito in questo cimitero" ed altri tre, che ricordano uomini sepolti, in origine in altri luoghi, ma le cui tombe non furono trovate e che portano incisa la frase "La loro gloria non sarà mai cancellata".

Le lapidi, poste verticalmente, secondo la tipologia dei cimiteri anglosassoni, presentano un numero romano, una lettera maiuscola ed un numero che indicano rispettivamente, il settore, la fila e la tomba, oltre al nome, la data di morte, l'età, il simbolo della religione professata, il distintivo del corpo di appartenenza ed il grado del soldato.

Le sepolture sono 1.063, in massima parte di militari del secondo conflitto mondiale, soprattutto di caduti il 10 luglio 1943, quando ci fu lo sbarco in Sicilia. Molti soldati appartenevano alle truppe aviotrasportate e furono uccisi quando i venti deviarono i loro alianti o in mare o lontano dagli obiettivi. Tra gli altri caduti, ve n'è anche una di un caduto della Prima guerra mondiale, le cui spoglie provengono dal cimitero inglese di Marsala e quella di un marinaio della Royal Navy catturato a Malta e poi morto ad Augusta nel 1942. Oltre ai militari del Commonwealth (britannici, indiani, canadesi, neozelandesi e sudafricani) vi sono anche le salme di tre soldati greci, due olandesi e sei di nazionalità sconosciuta. Infine, sono sepolte anche le ceneri di alcune vedove di guerra inglesi, che avevano espressamente richiesto alla Commissione del Commonwealth per le sepolture di guerra di essere tumulate accanto ai mariti.

Sacrario di Pianto Romano

Il sacrario di Pianto Romano è un monumento garibaldino nel territorio del comune di Calatafimi Segesta, in località Pianto Romano.

L'appello iniziale per la costruzione di un monumento, che raccogliesse i resti dei caduti e ricordasse la battaglia di Calatafimi del 15 maggio 1860, fu lanciato il 9 settembre dello stesso anno da un comitato di abitanti del piccolo centro. Fu progettato nel 1885 da Ernesto Basile, ma fu solo il 15 maggio 1892 che il sindaco Salvatore Cabasino, alla presenza del generale Paolo D'Oncieu de la Bâtie rappresentante del re Umberto I, poté inaugurare il sacrario di Pianto Romano.

Il monumento sorge proprio nella sommità dell'altura che fu teatro della battaglia, a qualche chilometro dal centro abitato di Calatafimi, e ha la forma di un obelisco. Contiene un ossario dove sono custodite le spoglie dei caduti, garibaldini, picciotti e borbonici, e altri cimeli.

Nelle parole del progettista si doveva trattare di «… Poche masse, ma chiaramente apprezzabili anche da lungi; studiata così la linea di contorno dell'insieme in relazione cogli effetti prospettici e coi punti di vista dal basso: ricercata la finezza del sentimento delle linee generali e delle sagome. Tali i criteri da cui mi mossi e di cui avevo a pochi passi da Calatafimi splendidissimo esempio, il tempio di Segesta…», inoltre doveva essere completamente in «pietra calcare grigia del paese (Alcamo), materiale che si presta a una lavorazione accurata delle facce e degli spigoli…».

L'obelisco è decorato, così come previsto dal Basile, da due altorilievi in bronzo contenuti in due finestrature rettangolari, opera di Giovanni Battista Tassara (uno dei Mille), raffiguranti lo sbarco a Marsala e la battaglia di Calatafimi; i due rilievi furono inseriti a inaugurazione avvenuta. Oltre ai due altorilievi è presente anche una ghirlanda, sempre in bronzo, di palme e quercia.


Forni crematori in Italia: Piscina (TO)

Dopo aver parlato della cremazione e del suo sviluppo nel nostro Paese, e dopo avere pubblicato l’elenco dei crematori oggi in attività regione per regione, iniziamo a presentare su Hermes funeraria i singoli impianti con le informazioni essenziali ed utili per gli operatori funebri che debbano fare affidamento a queste strutture nel proprio territorio di intervento.

Tel. (+39) 0121.570394

Tel. (+39) 0121.329266

Fax. (+39) 0121.571439

E-Mail : info@hysteron.it

I prezzi fissati per il 2020 a Piscina stabiliscono un massimo di 511,60 euro iva esclusa per la cremazione di un corpo.

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Tutti i prezzi sono aggiornati alla data di pubblicazione, e potrebbero quindi essere stati modificati dall'Operatore.

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Forni crematori in Italia: Domicella (AV)

Dopo aver parlato della cremazione e del suo sviluppo nel nostro Paese, e dopo avere pubblicato l’elenco dei crematori oggi in attività regione per regione, iniziamo a presentare su Hermes funeraria i singoli impianti con le informazioni essenziali ed utili per gli operatori funebri che debbano fare affidamento a queste strutture nel proprio territorio di intervento.

P.I. 07502531218 - Sede Legale: Via G. Porzio 4, 80143 Napoli - Sede Operativa: Via Cimitero 83020 Domicella (AV) 
Tel. 081/8250771 - Cell. 333/4834201  - 324/8405553  - Fax 081/0106333  - email:
domicellasrl@gmail.com

Indirizzo: Via Cimitero, Domicella AV

Orari:  Chiude alle ore 21

Telefono: 333 483 4201

Il costo per la cremazione di un corpo a Avellino e provincia per il 2020 è di 511,60

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Tutti i prezzi sono aggiornati alla data di pubblicazione, e potrebbero quindi essere stati modificati dall'Operatore.

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Regione Piemonte si pronuncia sui trasferimenti a cassa aperta per i sospetti o conclamati Covid. 

Regione Piemonte obbligherà i suoi medici, in fase di certificazione per il trasporto a cassa aperta, a specificare che il decesso non sia dovuto a sospetto o conclamato Covid 19.
Ci pare un eccesso di zelo ed una inutile complicazione in quanto dovrebbe essere già scontato il contrario. Se un medico dovesse essere a conoscenza che la causa del decesso sia dovuta ad una malattia infettiva/diffusiva dovrebbe negare il trasporto a cassa aperta a prescindere e senza necessariamente certificare la casistica Covid.
Ci ritroveremo medici che impediranno il trasporto in quanto non saranno in grado o non vorranno certificare l’esclusione a priori di un sospetto Covid senza poter, di fatto, eseguire un tampone post mortem.
Una inutile complicanza.

Forni crematori in Italia: Mappano (TO)

Dopo aver parlato della cremazione e del suo sviluppo nel nostro Paese, e dopo avere pubblicato l’elenco dei crematori oggi in attività regione per regione, iniziamo a presentare su Hermes funeraria i singoli impianti con le informazioni essenziali ed utili per gli operatori funebri che debbano fare affidamento a queste strutture nel proprio territorio di intervento.

Tempio di Mappano c/o Civico Cimitero
Via Argentera s.n., 10079 Mappano (To) – Italia

Tel: 011 9968 268
info@tempiocrematoriomappano.it
socremmappano@pec.it

TARIFFA PER LA CREMAZIONE € 545

Con decorrenza 1° settembre 2019, la tariffa ministeriale applicata a Mappano per la cremazione è di 545,00 euro (IVA al 22% compresa).
La tariffa di cremazione per i resti mortali provenienti da esumazione o estumulazione è di 436,00 euro (IVA al 22% compresa).

 

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Caronte Federcofit Giovanni Caciolli

Le Pompe Funebri e la ripartenza

Da alcune settimane questa parola, la ripartenza, di vago sapore austroungarico, è sulla bocca di tutti anche per una sorta di superstizioso augurio dopo la paralisi più lunga che la storia ricordi: dalla fine di febbraio al 3 giugno scorso.

Nella pubblica opinione è maturata la convinzione che il settore funebre sia tra i pochi che non hanno avuto ripercussioni negative da questa pandemia, anzi…, e che gli operatori funebri abbiano avuto buone chance di crescita.

Niente di più sbagliato.   

Un certo numero di operatori, è vero, e soprattutto nelle zone rosse, si è trovato a triplicare o quadruplicare il numero dei servizi svolti: si tratta, però e sempre, di servizi effettuati in condizioni di grande precarietà e con condizioni igienico-sanitarie particolari, in totale isolamento oltre che nella fretta e confusione assoluta.

È vero, poi, che nella parte del paese meno coinvolta dalla pandemia, non solo si sono registrati numeri inferiori di servizi, rispetto agli anni passati, ma tali servizi hanno subito le medesime limitazioni subite nelle “zone rosse” a causa delle disposizioni delle autorità sanitarie e dal Governo.

Né si deve dimenticare che analoghe difficoltà hanno interessato tutti i settori “attigui” all’attività funebre: marmisti, operatori cimiteriali, ecc. hanno registrato in questi mesi particolari difficoltà e sono coinvolti da una crisi pesante.

Situazioni, quindi, diverse sicuramente tra le zone epicentro della pandemia ed il resto del paese ma che hanno in comune gli aspetti negativi: tutti gli operatori, a causa delle condizioni sanitarie imposte, non hanno potuto “curare” le famiglie colpite da un lutto con la dovuta attenzione ed i consueti suggerimenti.

I servizi funebri sono stati vissuti più come necessario smaltimento di un “rifiuto infetto” che come un accommiatarsi carico di relazioni. La scomparsa del commiato (“mio padre non l’ho potuto neppure salutare …”), della cerimonia e rito funebre, per non parlare dell’ossequio e della veglia funebre (si pensi alla sostanziale chiusura delle case funebri con i conseguenti gravissimi problemi finanziari stante la recente realizzazione di queste costose strutture) sono la traduzione plastica di questa situazione generalizzata, e subita, in tutto il paese.

Certo, lo abbiamo più volte sottolineato, molti errori nella gestione di questa emergenza, potevano essere evitati; sicuramente la colonna dei camion militari che hanno portato da Bergamo ad altre destinazioni i feretri destinati alla cremazione sono l’emblema di una gravissima sconfitta dello Stato incapace di trovare soluzioni adeguate, anche contingenti, alle necessità.

L’assenza di un soggetto competente su questa materia nei vari livelli della Protezione Civile capace di attivare le procedure necessarie su questi aspetti, come avviene nei paesi cosiddetti civili, porta a questi interventi assolutamente inadeguati ed inappropriati.

Sicuramente nei prossimi mesi avremo la possibilità di una più attenta e istruttiva analisi delle conseguenze sulla corretta elaborazione del lutto determinate da queste scelte, in buona parte obbligate.

Oggi alla categoria si pongono problemi strutturali particolarmente seri e complessi.

Non solo, come si verifica in ogni momento di gravi crisi e di profonde trasformazioni, probabilmente non tutti gli operatori presenti reggeranno a fronte delle trasformazioni del mercato ma per tutta la categoria si pone il problema di superare le défaillances di questa fase e, cosa più complessa, trasformare la crisi in opportunità di trasformazione, rinnovamento e nuovo sviluppo.

La caduta delle “tariffe” di questi servizi ridotti, come si dice, all’osso, la caduta di ogni celebrazione che porta alla standardizzazione massima dei servizi funebri, la spinta alla fretta nell’arrivo a destinazione, il cimitero, e via andando sono elementi che possono minare alla radice i fondamenti delle attività funebri.

Cosa fare? Senza andare alla memoria storica del “che fare” che si poneva Lenin nella “Rivoluzione di ottobre” si apre per la categoria un campo vasto di riflessione anche alla luce degli impegni legislativi da tempo presenti nel Parlamento italiano ed assolutamente necessari per riattivare un processo di unificazione concreta e sostanziale di queste attività sull’intero territorio nazionale.

Qui voglio sottolineare tre elementi.

Prima di tutto oggi molto più del passato si pone la necessità e l’urgenza di investire in professionalità: se la categoria non sviluppa conoscenze e, come dicono i francesi, savoir faire, cioè capacità operativa ed esperienza, sarà arduo recuperare spazi al servizio funebre e salvaguardare questo lavoro dalla semplificazione e standardizzazione assoluta. La formazione professionale vista tradizionalmente dal settore con molte riserve (“a me, con l’esperienza che ho, non si insegna nulla …”) deve, finalmente, diventare un valore assoluto per un imprenditore che vende “servizi” e che ha, come punto di forza il rapporto personale e sempre più profondo con le famiglie.

In secondo luogo, sempre di più si deve puntare sulla qualità dei servizi offerti: il rapporto qualità-prezzo sarà sempre più determinante; l’adeguata qualità dei prodotti offerti, a partire dal cofano, la cura prestata nei servizi, tutti senza eccezione ed in tutti gli aspetti, a partire dall’adeguato abbigliamento, sarà leva indispensabile per il proprio successo.

Terzo elemento, tradizionalmente misconosciuto dal settore se non osteggiato, le necessarie alleanze, qualcuno le chiama partnership; si tratta probabilmente di uno dei più gravi limiti di queste attività, mai superato nel corso degli anni anche se qualche esempio si sta sviluppando: centri servizio, complesse società che si affacciano, …. Il mercato funerario, come è avvenuto per tanti altri settori economici, non si può più affrontare con le singole capacità personali, risorsa preziosa ma inadeguata allo sviluppo di ogni mercato pur settoriale che sia. Il mercato funerario italiano si presenta ancora appetibile e verificherà, probabilmente, una forza di attrazione di capitali attenti alla resa finanziaria. Allora creare alleanze è sempre più importante per non essere fagocitati, o mangiati in un boccone, per parlare semplice. Altri paesi hanno affrontato questi aspetti ed hanno percorso già un bel tratto di strada, basta pensare alle “reti” sviluppatesi in Francia ed in altri paesi europei. Certo oggi non si possono riproporre le esperienze degli anni ‘70 del secolo scorso, cioè la nascita dell’OFISA di Firenze o La Generale di Genova, per citare solo gli esempi più significativi. Allora rappresentavano la tutela rispetto ai processi di frammentazione e polverizzazione presenti sul mercato e la difesa delle imprese presenti, oggi il tema è molto diverso: rafforzare la propria presenza per vincere sulla concorrenza e dare servizi più adeguati alle esigenze del mercato, quindi un guardare decisamente in avanti. Il tema non è quello di “unificare” e “fondere” più imprese, il tema è sviluppare sinergie e trasformarle in sistema solido e duraturo senza perdere la personalizzazione dell’operare. Certo più che allora, quindi, oggi si pone il problema di chi ha le capacità e gli strumenti per guidare la danza e, conseguentemente, la definizione di regole e gerarchie, per queste alleanze, necessarie e sufficienti per vincere la sfida: creare gruppi coesi orientati ed efficienti.

Ci fermiamo qui nella speranza di avere gettato un piccolo seme utile a generare una riflessione ed un confronto sul futuro di un settore ricco di vitalità ma posto, più di altri, di fronte alla necessità di profonde trasformazioni.

        Caronte