Evviva evviva… anche la Calabria ha finalmente una legge… e che legge!!!
Da tanto tempo si aspettava una legge per la Calabria capace di regolare le attività funebri e la funeraria in genere.
Sono anni che si discute su questa necessaria legge senza che, fino ad oggi, si ottenesse un risultato.
Ricordiamo ancora bene le vicende che hanno portato all’abrogazione della precedente legge approvata (per evidenti forzature inaccettabili da parte della Regione) come se la Calabria fosse terra di un altro Stato completamente autonomo.
Eravamo particolarmente coinvolti e consapevoli delle molteplici esigenze presenti in una regione che vede, a fronte di 19000 decessi ogni anno, operare un numero spropositato di imprese funebri. Situazione che porta ad avere una media di servizi funebri per impresa inferiore ai 30 all’anno (una delle più basse di tutto il nostro Belpaese).
Eravamo anche curiosi di vedere come andava a finire perché il tema è in forte discussione da anni e sono susseguiti vivaci dibattiti e manifestazioni (buoniste) che tuttavia non cercavano di definire quali misure si dovessero adottare per frenare questa polverizzazione al fine di invertire la rotta e definendo in termini chiari i requisiti strutturali ed organizzativi necessari per ogni impresa.
Tutti buoni, tutti bravi e tutti allineati e coperti, come si dice.
D’altra parte, si erano create molte aspettative e Noi, Federcofit, eravamo ripetutamente stati accusati di difendere solamente i cosiddetti “centri servizio” facilitatori, nell’opinione dominante il settore, della citata polverizzazione.
BALLE e poi ancora BALLE!
Ecco, quindi, la soluzione geniale dei problemi in un dettagliato articolo 8 “Requisiti dell’impresa funebre e dei soggetti ad essa collegati” della legge approvata dalla Regione Calabria su proposta distorta dell’ormai famoso “Comitato spontaneo…”
Per fare impresa funebre, recita l’articolato, si dovrebbe avere oltre ad una sede, “un qualsiasi mezzo funebre” con relativa autorimessa ed un “responsabile … stabilmente assunto con regolare rapporto di lavoro con il richiedente… che può coincidere con il titolare”. Soluzione minimale ma accettabile, salvo precisare come si deve fare il trasporto di cadavere.
Poi… qui arrivano le sorprese (comma 2): i requisiti citati sede, auto funebre e direttore tecnico, “possono essere ottenuti ricorrendo ad accordi con altre imprese certificate, associazione temporanea di impresa o contratti di rete”.
In definitiva per aprire un’attività funebre NON È PIÙ necessario avere nulla: basta un foglio di carta e un cellulare, per il resto si può prendere tutto in prestito.
Come tutto questo possa conciliarsi con la permanenza delle attività funebri nell’ambito delle norme di pubblica sicurezza (art. 6), è un po’ difficile a capirsi stante il rapporto fiduciario che si instaura tramite la sottoscrizione della delega da parte dell’avente titolo al direttore tecnico od addetto alla trattazione degli affari.
Ma la speranza è l’ultima a morire, la “speme”, come dice il poeta, fugge solo i sepolcri, quindi sarà il trasporto funebre e le modalità della sua esecuzione a contrastare, almeno un poco, la polverizzazione crescente ed a tutelare le imprese funebri storiche.
Macché, peggio che andar di notte. “L'impresa in possesso dei requisiti di cui al comma 1, lettere a), b), e c)” quindi tutte le imprese come recita il comma 2 che abbiamo citato, può “appaltare il trasporto funebre per la cerimonia ad altra impresa funebre certificata in possesso autonomo dei requisiti di cui alla successiva lettera c)” (che abbiano almeno 6 addetti e due carri funebri). Quindi anche per fare il trasporto funebre non è necessario avere niente, con un contrattino, per di più anche poco impegnativo perché “la stessa svolgerà col proprio rischio d'impresa, tramite contratto genuino, il servizio di trasporto funebre ad essa commissionato”, il problema è risolto in barba ad ogni altisonante impegno a lottare contro la polverizzazione aziendale e contro i centri servizi che la diffondono.
Con buona pace di Pitagora e della sua famosa scuola calabrese di filosofi e pensatori la legge approvata è un bel pastrocchio; se prima era abbastanza facile aprire nuove attività funebri, oggi, con la nuova legge è diventato un gioco da ragazzi.
Dulcis in fundo: non sarebbe male se la norma definisse con precisione chi debba rilasciare l’autorizzazione al trasporto funebre di cadavere di cui all’art. 12 (il comune di decesso o quello di chiusura del feretro).
Chi sia il responsabile NON CI INTERESSA E NON È IMPORTANTE!!! Rimane il fatto che coloro che dovevano effettivamente essere regolamentate (le imprese funebri) e difese (le famiglie) alla fine non hanno ottenuto NIENTE per la SECONDA VOLTA!
Continuate così, alla estrema ricerca di fare i bastian contrari, i Don Chisciotte, le primedonne o le mosche bianche e finirete, con il tempo, affondati nella stessa materia su cui spesso le mosche stesse amano depositarsi.
Biella, lo scandalo del forno crematorio continua
Un servizio delle IENE (clic su questo collegamento per visualizzare il servizio) ritorna giustamente e pesantemente sui fatti che hanno riguardato la gestione del crematorio di Biella riproponendo temi che periodicamente esplodono nel settore.
Se (volesse Dio) venissero verificati e accertati i fatti denunciati ci troveremmo difronte ad una regressione dell’essere umano al pari di gerarchi di guerra con comportamenti più bassi di qualsiasi abbietta morale.
Ingordigia e cupidigia e fame di inseguire denaro veloce e facile sputando sulle lacrime della gente.
Conseguente sputtanamento del settore funebre e distruzione di qualsiasi rapporto di fiducia tra famiglie e impresa funebre in poche parole disintegrazione della propria attività e di tutti quelli che fanno il tuo stesso lavoro. Soppressione di una categoria.
Ancora una volta, dopo gli scandali di Massa Carrara (crematorio a gestione pubblica) ed altri a seguire, lo scandalo di Biella vede coinvolta in prima linea una famiglia titolare anche di un’attività funebre e ripropone il tema della gestione dei servizi funerari in genere e dei controlli, troppo spesso carenti o addirittura inesistenti da parte degli organi competenti.
Un Sindaco che si nasconde dietro ad un dito imputando ad una famiglia un comportamento indegno e successivamente afferma di non poterci fare nulla e di non cessare l’appalto in quanto in capo ad una azienda e non ad una persona fisica e sbandierando terrificanti penali a cui dover far fronte. Lo stesso Sindaco che, quale responsabile della tutela dei propri cittadini, avrebbe dovuto controllare (con piena facoltà) cosa stesse accadendo nella struttura di sua pertinenza.
Ora con il gioco delle tre carte si cambia mazziere e le persone in capo all’azienda gestore del forno vengono sostituite con altre del medesimo nucleo familiare!!!
Una documentazione allucinante, come quella esposta dal servizio delle IENE, non può e non DEVE venire a galla solo quando insorgono conflitti interni alle aziende tra titolari e dipendenti oppure a seguito della nascita di una spontanea morale nella testa del singolo addetto.
Un Comune che affida/esternalizza DEVE prevedere successive azioni di controllo in merito agli obblighi assunti dai gestori imponendo il rispetto degli accordi sanciti dall’appalto. Purtroppo queste verifiche non avvengono praticamente MAI. Un esempio su tutti: le gestioni cimiteriali spesso vengono disattese con la conseguenza che i cimiteri versano in condizioni peggiori di quando venivano gestiti direttamente dai Comuni stessi.
La vigilanza rappresenta la sola e vera azione di contrasto agli abusi e la sola tutela dei sacrosanti diritti delle famiglie che non possono rimanere con l’atroce dubbio di andare a piangere o abbracciare ceneri che non siano effettivamente quelle dei propri cari.
Bisognerebbe che le istituzioni ed i comuni vagliassero e mettessero sotto una SERIA lente di ingrandimento il soggetto privato con cui intendono operare creando appalti che vadano a risolvere le vere problematiche e non basandoli solo ed unicamente sulle offerte al massimo ribasso!!!
Il problema non è il pubblico o il privato!!! Non si può arginare il problema riportando e/o restringendo tutto in ambito puramente pubblico. Sarebbe anacronistico e ideologicamente sbagliato.
Pensiamo al settore della sanità in Italia; esiste la sanità pubblica, quella privata e quella privata convenzionata (vale a dire che percepisce denaro pubblico per operare). Pensiamo solo per un attimo di riportare TUTTO il settore sanitario unicamente in ambito pubblico e proviamo ad immaginare che impatto avrebbe sulla cura dei cittadini…
Le regioni erogano miliardi di contributi al settore sanitario privato il quale ha di fatto sostituito in alcuni ambiti in toto quello pubblico (es: RSA, RSD, Ospice, Caregiver, etc etc).
La corretta direzione non è quella di imporre veti statalisti difronte ad una evidente e diffusa privatizzazione, ma di verificare e porre seri limiti di solidità, credibilità e solvibilità quali requisiti indispensabili nella stesura degli appalti di esternalizzazione di un servizio, qualsiasi esso sia.
Dietro la ferma intenzione di mantenere il crematorio esclusivamente in ambito pubblico non leggiamo nessuna tutela o morale alla difesa del cittadino nei confronti del cattivo e spregevole privato, anzi, interpretiamo una forte volontà di mantenere il veto nei confronti di una sicura fonte di reddito (le cremazioni) che spesso raddrizzano i bilanci Comunali sgangherati.
Il privato non è sempre e per forza cattivo e non è sempre e per forza buono, va preventivamente sondato, pesato e analizzato e successivamente controllato e vigilato (ben comprendendo che questo comporta impegno, lavoro e risorse da parte dei Comuni che spesso non hanno o non danno).
Ora attendiamo con fiducia l’azione della magistratura, con tempi, purtroppo, troppo lunghi, nella speranza di un’azione rigorosa e speriamo esemplare, contro abusi ed irregolarità accertate.
Al di là delle imprecisioni e delle generalizzazioni del servizio giornalistico ed al di là, ugualmente, del fatto che gli interessati non fanno parte della nostra Federazione, vogliamo esprimere parole chiare su queste vicende.
Prima di tutto vogliamo sottolineare che, per fortuna di tutti, operatori ed utenti, nel nostro paese la stragrande maggioranza di questi servizi risponde a requisiti di correttezza e garanzia di livello altissimo sia nelle gestioni dirette da parte dei comuni sia nelle gestioni affidate, nei vari modi possibili, ad operatori “privati”. Numerosi sono gli impianti di cremazione che operano nelle regioni contermini che offrono queste certezze ai cittadini che affidano loro i trattamenti cimiteriali dei propri defunti.
In secondo luogo, vogliamo richiamare il Sindaco di Biella alle responsabilità dell’Amministrazione nel garantire i propri cittadini e nel rassicurarli sulla correttezza dei servizi offerti. Certo è doveroso attendere gli esiti delle indagini di giustizia in corso ma solleva molte perplessità l’incapacità, così appare, dell’Amministrazione di tutelarsi a fronte di un operatore accusato, con tante e tali documentazioni, di non rispettare i diritti dei cittadini di quel comune.
Infine anche queste vicende ripropongono con evidenza la necessità che la “politica” affronti i temi della funeraria che da troppo tempo, ormai da 30 anni, attende l’aggiornamento normativo capace di governare un settore che ha subito una enorme evoluzione: non si può governare la realtà di oggi con le regole vecchie e superate del secolo scorso.
Concorso musicale “Due sotto #ivantrevisin”
L’azienda trevigiana di onoranze funebri Ivan Trevisin e l’associazione Musincantus hanno deciso di promuovere una nuova e singolare iniziativa musicale: il primo concorso internazionale di composizione ed esecuzione denominato “DUE SOTTO #IVAN TREVISIN”.
Il concorso, ideato e fortemente voluto dall’azienda stessa promuove la composizione di nuova musica o la rivisitazione di quella esistente nell’ambito del genere funebre, non necessariamente sacro, ma anche laico.
Come dichiara Ivan Trevisin, la musica in occasione di un commiato, non è in Italia valorizzata come all’estero e la sua mancanza elimina ogni dimensione di bellezza e conforto, che sostiene gli animi e rimane impressa nei cuori di chi vi partecipa.
Il concorso, che risulta essere il primo nel suo genere, ha carattere internazionale e la finale tenutasi lo scorso 10 novembre nel Museo di Santa Caterina a Treviso (una chiesa sconsacrata) è stata un appuntamento straordinario per quasi quattrocento amanti della cultura e della musica.
Il concorso patrocinato dal Comune di Treviso ha mosso i suoi primi passi all’inizio dell’anno ed ha visto l’interessamento di numerosi artisti dei più disparati generi musicali e l’appoggio di diverse realtà cittadine vicine a questo genere di arte.
“Con immensa soddisfazione – commenta Ivan Trevisin – ci siamo resi conto che in questa occasione i musicisti si adoperano per alleviare i duri momenti che si vivono durante un commiato funebre; una cerimonia priva di accompagnamento musicale risulta impoverita o addirittura svuotata del suo più profondo significato.”
Il bando del concorso, redatto dal direttore artistico di Musincantus Edoardo Bottacin, prevedeva un premio in denaro pari ad euro cinquecento per il primo classificato, ed era consultabile nelle pagine social Facebook e Instagram di @musincantus e @ivantrevisin onoranze funebri.
L’evento non era pensato per un genere preciso, ma offriva la possibilità di partecipazione ad una platea molto ampia che aveva a disposizione delle vere e proprie opere inedite.
Il vincitore è stato il trio swing di Carlo Colombo con la canzone “Ridere di me” proclamato tra i quattro finalisti che hanno eseguito dal vivo la loro composizione sotto l’attenta analisi della commissione giudicatrice che era composta da Tolo Marton - chitarrista e compositore (Presidente), Nello Simioni - musicista, esperto e rivenditore di vinili, Lucia Visentin – violinista, Paolo Gasparin – compositore e Jacopo Cacco - compositore e direttore d’orchestra.
Carlo Colombo, sempre accattivante come nel suo stile, con il suo pezzo ha riportato alle atmosfere nostalgiche ed agrodolci dei film di Woody Allen con cui condivide anche quella profonda ironia che fa pensare sul senso della vita stessa; il suo testo è un vero e proprio flashback di ricordi che testimoniano il fatto che la nostra vita non finisce, ma si trasforma.
Gli altri tre finalisti, tra i dieci concorrenti iniziali, erano Marinella Smiderle con la canzone “Dall’altra parte”, Davide Vettori con “Più in là” e la banda della Città di Mogliano Veneto diretta dal Maestro Martino Pavan con la canzone “Il ritorno”.
Per l’occasione ed il tema trattato erano presenti anche Francesca Brotto, scrittrice e monologhista, che ha presentato il suo nuovo romanzo “E vissero quasi tutti” edito da Tabula Fati e TRA Treviso Ricerca Arte, associazione privata che svolge un ruolo determinante nel panorama culturale e sociale cittadino, che ha proposto la visione di opere d’arte contemporanea sia religiosa che funebre.
Il valore aggiunto di questo concorso, che sicuramente tratta uno dei più importanti temi della funeraria italiana, il commiato, è stato il poterne parlare tranquillamente e pubblicamente in una modalità “meno funebre” e così celebrare il valore di una vita vissuta, più che il definitivo trapasso.
Ivan Trevisin, al termine della presentazione della giornata, assieme al suo staff ha dato appuntamento a nuove edizioni e nuovi eventi che hanno incuriosito anche i vari mass media presenti.
Ricordando "la Gioconda", il tram per Musocco
Le facce dei milanesi erano rivolte verso l’alto e avevano espressioni compiaciute e maliziose, mentre fissavano lo sguardo sulle caviglie della viceregina, la principessa Maria Elisabetta, che aveva voluto provare l’ebbrezza di un giro sulle montagne russe del Monte Tabor.
Era stata la geniale idea d’un oste, reduce dalla campagna napoleonica di Russia, di aprire nel 1820 a ridosso di Porta Romana “L’osterìa del Monte Tabor”. Il locale era diventato in breve tempo motivo di richiamo per tutta la città, per le succulente pietanze, per la qualità del vino ed anche perché nello spazio retrostante il locale era stato allestito una specie di otto volante.
Tre viaggi al prezzo di 40 centesimi, di lira austriaca s’intende, su di uno slittino che conteneva a malapena una sola persona. L’oste però chiudeva spesso un occhio e lasciava salire due persone per volta le quali dovevano necessariamente sistemarsi l’una in braccio all’altra e questo fu ulteriore motivo della sua fortuna; correva voce che nella buona stagione riuscisse a guadagnare anche mille lire al giorno.
Oggi in piazzale Medaglie d’oro, all’angolo con viale Filippetti, protetta dalle mura dei bastioni spagnoli, al posto dell’ottocentesca osteria sorge una palazzina di un garbato stile liberty, 1907 Ingegner Migliorini, che dopo aver ospitato il circolo ricreativo dell’ATM si è in anni recenti riconvertita in stabilimento termale.
Il Dopolavoro dell’Azienda Trasporti milanesi fu un organismo creato nel 1926 con lo scopo di “educare, divertire, fortificare”, svolgendo un’opera capillare di penetrazione di massa.
Scelse come sede la palazzina di piazzale Medaglie d’oro e iniziò le sue attività: conferenze d’arte, letture per la sezione culturale, incontri ginnici, partite a bocce, lotta greco-romana, rappresentazioni teatrali, balletti e concerti della banda per la sezione filodrammatica. Una ricca biblioteca, e una palestra continuano la tradizione del Dopolavoro dell’ATM che vi affiancava come servizi per i propri dipendenti, delle facilitazioni per l’acquisto dei testi scolastici e uno spaccio di generi alimentari a prezzi molto convenienti.
Nel 1929 venne aggiunto un edificio per gli spettacoli teatrali configurato come un piccolo castello a due torrioni che inseguito è diventato un dancing con il nome di Ragno d’oro, ed oggi è il bar delle terme.
Una attenta osservazione dell’esterno di questa palazzina ci presenta un Interrogativo: a cosa servono quelle zanche in metallo che fuoriescono dai muri? Sono resti di una pensilina lunga una decina di metri sotto la quale si radunavano i parenti del defunto per il quale veniva approntato un tram nero che avrebbe condotto la salma a Musocco. Stupiti?
Sì, questa costruzione fu un tempo la stazione dei defunti di Porta Romana attivata nel 1907.
Con la costruzione de Cimitero di Musocco (1889-95) in un’area molto distante dal centro si apriva la questione del trasporto delle salme quindi, affinchè i cavalli che allora tiravano i cortei non fossero sottoposti ad estenuanti fatiche nei trasferimenti fuori porta, si costruì una stazione funebre, attiva già dal 1895, in via Bramante (ora Via Noto) per i servizi destinati a Musocco.
Avrebbe funto come centro di raccolta dei cortei che da lì sarebbero stati trasportati mezzo tram fino al cimitero di Musocco. Nel 1907, per facilitare il trasferimento dei cortei, fu costruita la stazione di Porta Romana.
Nel 1926 ci fu il progetto di costruirne altre due: una ad est verso Porta Venezia ed una ad ovest verso Porta Magenta, la proposta però rimase senza seguito poiché si andava verso il rapido declino del servizio funebre tramviario.
La stazione funebre di Porta Romana fu dunque costruita nel 1907 dall’ingegnere Francesco Minorini e dall’architetto Pasquale Tettamanzi (oltre che dalle solite mai citate maestranze) per facilitare il trasporto delle salme dai quartieri più a sud della città fino alla stazione di via Bramante.
La soppressione del servizio funebre fu datata 1928 da P. Romana e 1930 da Via Noto.
Il collegamento col cimitero maggiore fu però garantito dalle linee tranviarie 14 e 37, mentre per il trasporto salme furono utilizzati per qualche tempo (o meglio riciclati) i mezzi ad accumulatori marca Rognini & Balbo.
Citazione dalla rivista L’Edilizia Moderna: “La stazione, per ubicazione doveva necessariamente essere vicina alla Circonvallazione per poter essere allacciata ai binari già esistenti su quella via, senza eccessive spese; doveva essere vicina ad un incrocio di larghe vie diramantesi in varie direzioni, e nello stesso tempo doveva sorgere in località non troppo esposta alla vista dei pubblico e delle case vicine”.
Trovata l’area furono abbattuti i vecchi fabbricati esistenti, il salone della palestra della società Forza e Coraggio e parte delle vecchie mura dei bastioni.
La stazione constava di un fabbricato per i locali di servizio con due ampi atri laterali, di una tettoia per treni tramviari e di un deposito per le vetture, dotato di fosse per eventuali riparazioni.
I carri dei cortei funebri, arrivando si fermavano nel cortile sotto pensiline prospicienti i due atri di accesso e di qui le salme venivano portate alle vetture tranviarie dove si svolgevano eventualmente le cerimonie dei discorsi funebri.
Essendo due pensiline si potevano svolgere contemporaneamente e indipendentemente l’una dall’altra le cerimonie di due servizi funebri in contemporanea.
Fu costruita un’ampia tettoia per la sosta delle vetture e si fece in modo che sotto di essa non fossero necessarie manovre di attacco e distacco per evitare i rumori.
Il convoglio con motrice e rimorchio era del tipo Edison: la motrice era divisa in due scompartimenti ad otto posti ciascuno, dove potevano sedere i parenti; nella vettura rimorchiata trovava posto il feretro e in un piccolo coupé posteriore stava il clero che accompagnava la cerimonia.
Un’elegante verniciatura con tanto di scritte in oro conferiva alle vetture una inconfondibile eleganza; l’interno era tutto noce e teak, alle finestre vetri smerigliati abbassabili recanti lo stemma del Comune, per tende una stoffa arabescata color piombo.
La carrozza era riscaldata d’inverno e ventilata d’estate, oltre che provvista di sedili di velluto per i “dolenti”.
Alla stazione di Porta Romana approdavano i cortei funebri provenienti dai rioni meridionali della città. Dal carro la bara veniva trasferita sulla nera carrozza tranviaria con una raffinata soluzione tecnologica che consentiva al personale di estrarre la bara dal suo scomparto foderato in lamiera zincata e chiuso da un portello a cerniera grazie ad un falso pavimento su rotelle di ferro su cui era possibile farla scorrere.
La stazione veniva chiamata ironicamente Monte Tabor, vuoi in ricordo della perduta osteria o forse per la sacralità insita nel suono delle due parole e il tram con stupefacente umorismo era detto “la gioconda”.
Il primo viaggio della Gioconda fu registrato il 4 ottobre 1907 e il defunto era, per la cronaca, il signor Luigi Cereda, abitante in via Osti al 12.
Sopravvive in piazza Medaglie d’Oro parte del fabbricato a ridosso dei Bastioni, con la bella fronte liberty rivolta al viale Filippetti. La stazione era sorta sull’area dell’ex “Monte Tabor”, famoso luogo di divertimento che impazzò per tutto l’800.
Seguiamo con l’immaginazione il mesto convoglio mentre trasporta una salma all’estrema dimora. Il tracciato è ancora lo stesso da Porta Romana il nero tranvai infila l’omonimo viale ( il futuro Monte Nero), proseguendo lungo i viali di “Porta Vittoria” (Premuda) e Monforte (Piave), di “Porta Venezia” (Vittorio Veneto) e” Principe Umberto” (Monte Santo), di” Porta Nuova” (Monte Grappa) e di “Porta Garibaldi” (Pasubio). Doppiata la Porta Volta, il tram raggiunge, per Viale Ceresio, il Monumentale e, costeggiato questo, la Stazione di via Bramante (via Luigi Nono). Poi, risalendo lungo il fianco sinistro del cimitero, approda in piazza” Moncenisio” (Coriolano) e, per l’omonima via (poi, più semplicemente, Cenisio), alla lunga dirittura del viale Certosa e al piazzale Musocco, fatale capolinea del tram dei morti.
Da un’osteriaccia nei pressi ne saluta l’arrivo, sollevando il suo nappo di Montarobbio, il disincantato avventore: «L’è rivàda la...Gioconda, alègher!».
Ciapa’l tram balurda
ciappel ti che mi sun surda
tric e trac lasel andà
tric e trac lasci andà
I rimorchi per i dolenti di cui si dice sono poi finiti sulla Ferrovia Genova Casella. Riconvertiti allo scartamento metrico e negli apparati di attacco e ai ganci, furono usati fino alla fine degli anni ‘50, poi demoliti.
Fino a poco prima che vi fossero insediati gli stabilimenti termali scendendo nello scantinato dell’edificio era ancora possibile vedere delle piattaforme di pietra ad altezza d’uomo, sovrastate da volte basse e massicce che testimoniavano la funebre funzione.
Jolly Roger
Tratto da i “Quaderni di Milano Policroma, N 1, 1983 La Gioconda al Monte Tabor di Roberto Bagnera”
Cimiteri d'Italia: Cimiteri e Sacrari militari
Non si può parlare dei cimiteri senza parlare anche dei cimiteri militari e, soprattutto, dei sacrari dove si raccolgono e conservano i resti dei caduti sui campi di battaglia.
Ricca è la tradizione di queste strutture nel nostro paese teatro dei grandi conflitti che hanno interessato l’umanità nel secolo scorso. Importante è la tradizione consolidatasi nelle regioni del nord teatro della Prima Guerra Mondiale o Grande Guerra.
Senza la pretesa di esaurire la panoramica di queste strutture cercheremo di illustrarne le espressioni più note e più significative.
La maggior parte dei Caduti italiani e austroungarici della Grande Guerra riposano ormai da molto tempo in grandi Sacrari o in cimiteri militari nei quali sono stati trasferiti e raggruppati nel primo dopoguerra. Dalle immense gradinate di Redipuglia ai maestosi archi del Leiten Asiago, al chiostro della S.S. Trinità di Schio, al Tempio Ossario di Udine, al Sacrario di Caporetto, ai cimiteri militari austroungarici di Folgaria e Slaghenaufi, al cimitero militare italoaustriaco di Cesuna Magnaboschi, ai cimiteri militari britannici di Cesuna. Sono solo alcuni degli esempi dei luoghi nei quali il supremo sacrificio di tanti giovani di ogni parte d’Europa diventa tangibile e induce alla riflessione anche a distanza di un secolo (fotografie di Stefano Aluisini).
Sacrario militare di Pocol
Il sacrario militare di Pocol (detto anche ossario di Pocol) sorge a quota 1.535 m s.l.m., presso la SS 48 delle Dolomiti Cortina-Passo Falzarego, in località Pocol a pochi chilometri da Cortina d'Ampezzo.
Il sacrario, progettato dall'ingegnere Giovanni Raimondi e la cui costruzione venne terminata nel 1935, è costituito principalmente da una massiccia torre quadrangolare in pietra, che svetta su Pocol ed è ben visibile da tutta la Valle d'Ampezzo. Conserva le ossa di 9.707 caduti italiani (tra cui anche quelle del generale Antonio Cantore, morto nel 1915 sulle Tofane, e quelle del tenente Francesco Barbieri, del 7º Reggimento Alpini, caduto presso Costabella), di cui 4.455 rimasti ignoti, e di altri 37 caduti austro-ungarici noti.
Al piano superiore si trovano le tombe di altre due medaglie d'oro al valor militare: quella del cap. Riccardo Bajardi (caduto a Cima Sief) e quella del ten. Mario Fusetti (caduto in Sass de Stria).
Nel 1932 furono trasferiti qui alcuni soldati italiani che prima erano stati sepolti al cimitero austro-ungarico di Brunico e al cimitero austro-ungarico Burg di San Candido.
Sacrario militare di Redipuglia
Il sacrario militare di Redipuglia è un monumentale cimitero militare situato in Friuli-Venezia Giulia, che contiene le spoglie di oltre 100.000 soldati italiani caduti durante la prima guerra mondiale. Sorge a Redipuglia in provincia di Gorizia.
Il monumento, costruito in epoca fascista, è il fulcro di un parco commemorativo di oltre 100 ettari che comprende una parte del Carso goriziano-monfalconese, teatro durante la Grande guerra di durissime battaglie (battaglie dell'Isonzo). Le enormi dimensioni e l'ampia area coinvolta a parco della memoria ne fanno il più grande sacrario militare d'Italia e uno dei più grandi al mondo.
Ogni 4 novembre, alla presenza del presidente del Senato, in sostituzione del presidente della Repubblica impegnato in contemporanea in celebrazioni analoghe all'Altare della Patria, il sacrario serve come luogo di commemorazione per tutti i 689.000 soldati morti durante la prima guerra mondiale. La grande scalinata di pietra che forma il sacrario di Redipuglia è collocata direttamente davanti alla collina di Sant'Elia, sede del precedente cimitero di guerra i cui resti furono traslati nell'attuale sacrario monumentale. Tutta l'area è stata convertita a parco del «ricordo» o della «rimembranza»: gallerie, trincee, crateri, munizioni inesplose e nidi di mitragliatrice sono stati conservati sul sito a ricordo della guerra.
Il memoriale monumentale è stato progettato da un gruppo di lavoro presieduto dallo scultore Giannino Castiglioni e dall'architetto Giovanni Greppi. I lavori iniziarono nel 1935 con un impiego enorme di uomini e mezzi che dopo tre anni ininterrotti di lavori permisero l'inaugurazione del monumento il 18 settembre del 1938 alla presenza di Benito Mussolini e di più di 50.000 veterani della Grande guerra. Il monumento dalla nascita è stato amministrato dal Ministero della difesa, nello specifico dal Commissariato Generale per le Onoranze ai Caduti.
Nel 2018 sono state avviate opere urgenti di restauro del Sacrario, che per circa un anno è rimasto solo parzialmente visitabile.
L'opera, realizzata sulle pendici del monte Sei Busi, cima aspramente contesa nella prima fase della Grande guerra (prima, seconda e quarta battaglia dell'Isonzo), si presenta come uno schieramento militare con alla base la tomba di Emanuele Filiberto di Savoia-Aosta, comandante della 3ª Armata, cui fanno ala quelle dei suoi generali.
Recinge simbolicamente l'ingresso al sacrario, ai piedi della monumentale scala, una grossa catena d'ancora che appartenne alla torpediniera Grado, già appartenuta alla marina austro-ungarica (k.u.k. Kriegsmarine) con il nome di Triglav e ceduta all'Italia dopo la fine della guerra. Subito oltre, si distende in leggero declivio un ampio piazzale, lastricato in pietra del Carso, attraversato sulla sua linea mediana dalla via Eroica, che corre tra due file di lastre di bronzo, diciannove per lato, di cui ciascuna porta inciso il nome di una località dove più aspra e sanguinosa fu la lotta. In fondo alla via Eroica si eleva solenne la gradinata che custodisce, in ordine alfabetico dal basso verso l'alto, le spoglie di 40.000 caduti noti, i cui nomi figurano incisi in singole lapidi di bronzo. La maestosa scalinata – formata da ventidue gradoni su cui sono allineate le tombe dei caduti, sul davanti ed alla base della quale sorge, isolata, quella del Duca d'Aosta, comandante della 3ª armata, fiancheggiata dalle urne dei suoi generali caduti in combattimento – è simile al poderoso e perfetto schieramento d'una intera grande unità di centomila soldati. Il Duca d'Aosta, morto nel 1931, aveva chiesto di avere l'onore di poter essere qui deposto tra le migliaia di soldati che persero la vita sul campo di battaglia. La tomba è ricavata in un monolito in porfido del peso di 75 tonnellate. Seguono disposte sui ventidue gradoni le salme dei 39.857 caduti identificati. Le iscrizioni recano tutte la scritta «Presente», che si rifà al rito d'appello dello squadrismo ove il capo delle squadre gridava il nome del camerata defunto e la folla inginocchiata rispondeva con il grido «Presente». Nell'ultimo gradone, in due grandi tombe comuni ai lati della cappella votiva, riposano le salme di 60.330 caduti ignoti.
Nella cappella e nelle due sale adiacenti sono custoditi oggetti personali dei soldati italiani e austro-ungarici. Oggi la cappella è arricchita da una statua che raffigura un'Assunta; è la Regina della Pace. Un'Assunta che vuole ricordare la necessità di dare al sacrario il ruolo di raccordo delle genti d'Europa al fine di promuovere una riflessione sulle lacerazioni etiche che producono le guerre. Nella cappella si trova inoltre esposta la testa di un Cristo sofferente recuperata nel 1995 nella dolina dei 500 o dolina della Morte sul monte Sei Busi, uno dei più importanti cimeli ritrovati nella zona che ornava una croce che sovrastava una grande fossa comune.
Il 3 settembre 2014 la cappella è stata trasformata in chiesa, con rito solenne. La chiesa è ora dedicata a Maria Santissima Regina della Pace, quale simbolo di tutte le madri con i propri figli in guerra. Il 3 maggio 2017 la chiesa Regina Pacis ha assunto come co-patroni, oltre a san Francesco e santa Caterina da Siena, Giovanni Paolo II, Benedetto da Norcia, Cirillo e Metodio. Lo stesso giorno si è costituita la Guardia d'onore per la Regina Pacis.
Il grande mausoleo venne realizzato di fronte al primo cimitero di guerra della 3ª armata sul colle Sant'Elia, che oggi è una sorta di museo all'aperto noto come parco della Rimembranza. Lungo il viale, adornato da alti cipressi, segnano il cammino cippi in pietra carsica con riproduzioni dei cimeli e delle epigrafi che adornavano le tombe del primo sacrario.
Sulla sommità del colle un frammento di colonna romana, proveniente dagli scavi di Aquileia, celebra la memoria dei caduti di tutte le guerre, «senza distinzione di tempi e di fortune». L'impianto, il più monumentale ossario di epoca fascista, incarna «l'apoteosi dell'uguaglianza, dell'anonimità e della disciplina militare oltre la morte, un trionfo – scolpito nella pietra – dell'istanza collettiva sull'identità individuale».
In concomitanza con l'edificazione del sacrario fu realizzata anche la stazione di Redipuglia, da inquadrarsi nell'ottica di monumentalizzazione della zona.
L'unica donna seppellita nel sacrario è una crocerossina, morta a 21 anni, di nome Margherita Kaiser Parodi. La sua tomba si trova nella prima fila e si distingue perché nella facciata è scolpita una grande croce.
TEMPIO OSSARIO DI UDINE
Sorto grazie all’opera di Mons. Clemente Cossettini, custodisce le salme di 25.000 Caduti italiani nella Grande Guerra (8.000 ignoti), tra i quali Riccardo Giusto, il primo soldato italiano ucciso nel 1915, oltre a quelle di circa trecento altri soldati che sono caduti durante la Seconda Guerra Mondiale. I lavori per la costruzione del Tempio durarono di fatto dal 1925 sino al 1940 impegnando l’allora parroco di San Nicolò, Mons. Clemente Cossettini, che morì solo un anno dopo la consacrazione del Sacrario (22 maggio 1940) dove sono raccolte le spoglie dei soldati italiani provenienti da quasi 200 cimiteri militari della sponda destra dell’Isonzo. Ai piedi della sua facciata troneggiano quattro grandi statue dedicate al Fante, al Marinaio, all’Aviatore e all’Alpino. Con uno schema a croce latina, il Tempio è sormontato da una cupola alta ben 65 metri; nella navata laterale di sinistra si trova il “Cristo mutilato” salvato dalle artiglierie italiane dopo il loro devastante bombardamento sul convento del Monte Santo. Alle spalle del presbiterio due scalinate portano alla grande cripta dove riposano altri Caduti e gli 8.000 ignoti, divisi in due grandi sezioni uguali. Una statua dell’Alpino della “Julia “ durante la campagna di Russia e quella della Vergine Maria impreziosiscono la cripta prima del cui ingresso si trova anche la tomba dello stesso Mons. Clemente Cossettini.
SACRARIO DEL PASUBIO
Il Sacello Ossario del Monte Pasubio dei Caduti della Grande Guerra 1915-1918, inaugurato nel 1926, raccoglie le spoglie di 5.146 soldati italiani e 40 austro-ungarici, molti dei quali ignoti. La torre di pietra porta su ciascuna delle quattro facciate epigrafi patriottiche poste su grandi targhe di marmo. Tramite una scaletta interna è possibile salire sino al lucernario; le pareti degli ambienti sono dipinte con motivi che richiamano la Grande Guerra mentre l’accesso all’Ossario conduce ad alcuni ambienti, tra i quali quello riservato ai Decorati con la tomba del Gen. Pecori Giraldi, che contengono le spoglie nominative e ignote dei Caduti. Circondato a nord da una batteria di cannoni di vario calibro, ancora puntati verso il massiccio del Pasubio, vede affacciarsi sul medesimo piazzale del Belvedere con il grande parcheggio la “Casa della I Armata” con il piccolo museo.
SACRARIO DEL PASSO DEL TONALE
Il Sacrario Militare del Passo del Tonale (m. 1883) – in alta Valle Camonica – territorio di Ponte di Legno (Brescia), venne inaugurato nel 1936 su opera dell’Architetto Pietro Dal Fabbro (nel 1931, alla conclusione dei lavori, venne visitato dal Re Vittorio Emanuele III) ed è sormontato da una riproduzione in bronzo della Vittoria Alata (opera dello scultore Timoteo Bartoletti) il cui originale si trova nel Museo di Santa Giulia a Brescia. Custodisce le salme di quasi 900 Caduti provenienti dagli ex cimiteri militari della zona (Case di Viso, Ponte di Legno, Pezzo, Stadolina, Temù e Val d’Avio) – una cinquantina dei quali ignoti – inclusi i corpi recuperati anche in anni recenti per effetto dell’arretramento del ghiacciaio dell’Adamello. Tra i Caduti diversi decorati, ad esempio la M.A.V.M. Alpino Vito Tammaro, da Avellino, del Battaglione Val Camonica del 5° Reggimento Alpini, coraggioso portaortaordini caduto il 13 giugno 1918 a Cima Cady (2607 m.) o la M.B.V.M. Sergente Ernesto Taborelli, da Como, 6° Reggimento Alpini, ucciso nello stesso luogo esattamente due mesi dopo. Il frontone ospita delle nicchie con bassorilievi in memoria di altre figure epiche della guerra in montagna: i pluridecorati bergamaschi fratelli Calvi, la M.O.V.M. Cap. Francesco Tonolini (di Breno – BS), Capitano di Complemento del 5° Reggimento Alpini, che dopo l’Adamello fu sulla tremenda q. 2105 dell’Ortigara nel giugno del 1917 e dopo soli cinque mesi M.A.V.M. sul Monte Fior (Altopiano di Asiago) ucciso a una settimana dalla fine della guerra nel settore di Valdobbiadene. Con lui la M.O.V.M. Ten. Angelo Tognali (di Vione – BS), 7° Reggimento Alpini, caduto infine sul Grappa anch’egli alla fine di ottobre del 1918. O il pluridecorato Sottotenente bergamasco Gennaro Sora, che partecipò a entrambi i conflitti mondiali e, nel 1928, alla spedizione al Polo Nord con Umberto Nobile: durante la “guerra bianca” guidò in Adamello il 3° Plotone della 50ma Compagnia del Battaglione Alpini “Edolo” del 5° Alpini. Le colonne centrali ospitano invece altre lapidi commemorative e targhe in bronzo.
SACRARIO DI NERVESA DELLA BATTAGLIA
Progettato dall'Architetto Felice Nori è situato a q. 176 di Collesei dè Zorzi a circa due chilometri dall'abitato di Nervesa teatro della grande battaglia del giugno 1918. La costruzione è stata ultimata nel 1935. Qui riposano 6.099 Caduti identificati oltre a 3.226 Ignoti. Le tombe dei soldati sono disposte lungo i muri su sei righe e rivestite da marmo perlato di Chiampo; sulle tombe comuni invece sono iscritte frasi di G. D'Annunzio. Dalle balconate è possibile vedere tutto il campo di battaglia sino al Piave. Poco distante, nel punto ove precipitò il 19 giugno del 1918 il suo aereo da caccia, si trova anche il monumento a Francesco Baracca, asso della nascente aviazione italiana. Il pilota, che era voluto decollare ancora una volta con un nuovo aereo nonostante la stanchezza, venne infatti colpito da terra durante un'azione di mitragliamento.
SACRARIO MILITARE DEL MONTE GRAPPA
Il sacrario militare del monte Grappa è uno dei principali ossari militari della prima guerra mondiale e si trova sulla vetta del monte Grappa in provincia di Treviso.
Una volta conclusa la Grande Guerra sul massiccio del Grappa rimanevano molti cimiteri militari dislocati in diversi punti della montagna. Così si pensò di costruire un unico cimitero monumentale sotto la vetta del monte, ma, terminati i lavori, a seguito di problemi di umidità delle gallerie appena realizzate, si decise di costruire l'attuale sacrario militare.
Progettato dallo stesso architetto del sacrario militare di Redipuglia, Giovanni Greppi e da Giannino Castiglioni scultore, il sacrario venne iniziato nel 1932 ed inaugurato il 22 settembre 1935. Il sacrario è costituito da una serie di gradoni semicircolari che si sviluppano sul pendio che dalla strada conduce alla cima del sacrario. Ciò consente di sfruttare la pendenza del terreno al meglio limitando le difficoltà di costruzione e in definitiva i costi di realizzazione. L'elemento caratterizzante del sacrario è il motivo a colombario utilizzato per i loculi destinati ad ospitare le salme dei soldati caduti. Il modello a colombario, unitamente all'uso della pietra viva e del bronzo per le chiusure dei loculi vuole richiamare la classicità romana fortemente amata dalla committenza fascista.
Il sacrario contiene i resti di 22.950 soldati ed è così disposto:
- Settore nord, ossario austroungarico con 10.295 morti di cui 295 identificati.
- Settore sud, ossario italiano con 12.615 morti di cui 2.283 identificati.
Sul lato della via eroica, sono tumulati 40 caduti rinvenuti dopo la costruzione del Sacrario.
Tra i due ossari, c'è la cosiddetta via Eroica lunga 300 metri, con a lato i 14 grandi cippi recanti i nomi delle cime teatro di guerra.
All'inizio della via eroica, a nord, c'è il portale Roma: progettato e costruito dall'architetto Limoncelli ed offerto da Roma, sul portale è scolpito: "Monte Grappa tu sei la mia patria", il primo verso della canzone del monte Grappa.
Al centro dell'ossario italiano c'è il sacello della Madonna del Grappa, la Vergine Ausiliatrice posta nella vetta il 4 agosto 1901 dal patriarca di Venezia Giuseppe Sarto (poi papa Pio X), a simbolo della fede cristiana nel Veneto. Durante la prima guerra mondiale, la Madonna del Grappa divenne simbolo della Patria e della protezione divina, al punto che una volta riparata dall'esplosione di una granata, prima di esser riposta nel sacello (4 agosto 1921) fece il giro dell'Italia su un vagone ferroviario al cui passaggio tutti lanciavano fiori, pregavano, piangevano, si inginocchiavano.
Nel sacrario c'è una tomba importante per la storia del Grappa, è quella del maresciallo d'Italia, generale Gaetano Giardino, che qui comandò l'armata del Grappa portandola alla vittoria finale.
IL RICORDO DEL "NEMICO"
Desideriamo unire al ricordo dei Caduti italiani anche quello degli altri combattenti europei, allora perduti e sconfitti.
CIMITERO MILITARE A.U. DI COSTALTA (LUSERN)
Realizzato già nel 1915, vide poi trasferire i suoi Caduti presso il Sacrario Militare di Asiago. Oltre ai valorosi soldati Austroungarici, ospitò anche diverse salme italiane, alcuni sostengono quasi duecento, soprattutto quelle degli intrepidi Fanti del 115° Reggimento Fanteria della Brigata "Treviso", immolatisi in un disperato assalto ai trinceroni del vicino Basson nell'agosto del 1915. Sicuramente vi venne sepolto il Fante Salvatore Randazzo da Monreale (PA), classe 1895 - matricola n. 1060, del 161° Reggimento Fanteria, che la notte del 30 maggio 1915 riuscì con la sua pattuglia a penetrare nel perimetro del vicino Forte Luserna ma qui cadde in uno scontro a fuoco con i difensori Austroungarici (Medaglia d'Argento al Valor Militare). Inaugurato il 16 settembre del 1962 dopo la grande opera del reduce Conrad Rauch, che qui combatté, vide porre la grande croce che ricorda gli anni di fondazione e dismissione del camposanto (1915-1921). In memoria dei Caduti Austroungarici e Italiani della Grande Guerra che qui riposarono, il 10 agosto del 1986 vi vennero deposte le sue 184 croci in legno senza nome che ancora oggi recano la loro silenziosa testimonianza. Così quel giorno, considerando anche come diversi testimoni ricordassero che le esumazioni fossero state solo parziali e che quindi il cimitero esistesse ancora a tutti gli effetti, questo toccante luogo della memoria poté essere solennemente inaugurato alla presenza della stessa vedova Rauch, signora Friederika Maria Rauch-Hanusch. Oggi, vicino alla croce in ferro all'esterno, sono deposte alcune pietre con inciso un breve pensiero in memoria dei soldati Austroungarici dei quali sono riportati i nomi e i paesi di provenienza, oltre alla loro giovanissima età. Dopo trent'anni, il 24 agosto del 2016, grazie al Comune e al Gruppo Alpini di Luserna, si terrà la commemorazione di quella toccante inaugurazione che vide uniti i discendenti dei combattenti dei due eserciti.
CIMITERO MILITARE ITALOAUSTRIACO DI CESUNA MAGNABOSCHI
Situato di fronte a quello britannico, il cimitero italiano non ha lapidi ma oggi tronchi spezzati di abete in memoria delle centinaia di Caduti che ospitava. I militari identificati di entrambi gli schieramenti negli anni trenta sono stati infatti traslati al Sacrario di Asiago. Al centro sorge una grande scultura alta circa tre metri rappresentante al tempo stesso una croce e una baionetta. All’esterno e sulla destra è ancora presente una colonna di marmo, donata dalla città di Roma, a indicare il punto di massima penetrazione raggiunto dagli Austroungarici nel 1918 quando le Brigate Liguria e Forlì ne arrestarono definitivamente la corsa.
CIMITERO MILITARE AUSTROUNGARICO DI SLAGHENAUFI (LAVARONE)
Sorto vicino all’ospedale militare da campo dei Cavalieri dell’Ordine di Malta e alla sua piccola chiesetta in legno, accoglie i corpi di 728 Caduti dell’Esercito Austroungarico. È uno dei pochi siti che, grazie ai precisi accordi fra le autorità italiane e la Osterreichischen Schwarzen Kreuz (Croce Nera Austriaca), venne restaurato al fine di mantenere le sue caratteristiche originali. Insieme a quelli britannici dell’Altopiano di Asiago costituisce uno dei cimiteri militari più significativi nella memoria della Grande Guerra.
CIMITERO MILITARE AUSTROUNGARICO DI TONEZZA DEL CIMONE (LOC. CROSATI DI CAMPANA)
Situato nella frazione Campana loc. “Crosati” di Tonezza del Cimone, nelle immediate retrovie austroungariche della tragica montagna, è uno dei tre cimiteri allestiti dal 1916 per i caduti delle prime linee (gli altri due cimiteri da campo vicini – Contrà Grotti e Campana – prossimi alle principali infermerie da campo - sono stati abbandonati già nel primo dopoguerra). Realizzato dagli uomini del 59° Rainer di Salisburgo in una posizione defilata al tiro delle artiglierie italiane circa cinquecento metri più a valle, accolse le spoglie di oltre un migliaio di Caduti Austroungarici dei vari reparti succedutisi in linea a Tonezza, oggi ricordati da cento croci in legno disposte sul pendio con altrettanti cippi che recano ancora i nomi di alcuni soldati. Quei militari che difesero il caposaldo del Cimone sino agli ultimi giorni di guerra, ritirandosi solo nella notte sul 2 novembre del 1918. Un grande cippo in pietra qui ricorda anche l’Ufficiale Medico Alexander Hlein caduto in Val Posina nel 1916. Il Cimitero è stato recuperato al suo stato attuale di pregevole restauro grazie all’opera della Associazione del Fante di Vicenza (2006) e, nonostante le spoglie dei militari siano state trasferite in gran parte al cimitero di Cittadella, alcune al Sacrario di Asiago e in casi eccezionali nella stessa Madre Patria, la presenza di altri resti mortali rende perennemente sacro questo luogo della Memoria.
CIMITERO MILITARE AUSTROUNGARICO DI FOLGARIA
Raccoglie i resti di 2.500 Caduti Austroungarici dei quali 750 sconosciuti riesumati da vari cimiteri militari dell’Altopiano di Folgaria, in gran parte soldati dell’I.R. 59° Reggimento di Fanteria Rainer Salisburgo. Ospita anche il traliccio della croce in ferro che era stato riempito di bossoli come monumento al cimitero militare del I.R. 17° Reggimento di Fanteria "Kronprinz" sul Cuvolin, dietro il Monte Chiesa. Durante la cerimonia di inaugurazione del 12 settembre 1972 il silenzio venne suonato con la tromba di un soldato italiano caduto sino ad allora custodita presso il Museo di Salisburgo, poi donata dalle autorità austriache all’associazione combattenti e reduci di Folgaria. Occorre inoltre doverosamente ricordare come all'ingresso del cimitero civile, esattamente dietro quello militare, una stele ricorda i Caduti della Grande Guerra nati a Folgaria, i cui nomi apparentemente italiani in realtà si riferiscono quasi tutti a soldati che servirono lealmente sotto la loro Patria di allora, nell'esercito imperiale della Monarchia Austroungarica, cadendo quasi tutti in Galizia, Polonia e Russia. Dalla lettura dei cognomi colpisce il fatto che molti fossero fratelli; quasi tutte le famiglie del paese persero infatti i propri giovani. Fra quei folgaretani vi fu anche il Ten. degli Alpini Emilio Colpi che si arruolò invece nell'esercito italiano morendo sulle Tofane nel luglio del 1916. Tutti i loro nomi, come è giusto che sia, sono indicati indistintamente sulla stessa stele di marmo.
Sacrario Militare FAGARÈ (Treviso)
Il Sacrario Militare Fagarè, chiamato anche Fagarè della Battaglia, venne costruito nel 1933 e si trova nel Comune di San Biagio di Callalta (Treviso); il Sacrario raccoglie le spoglie di 5.191 militari italiani noti, 5.350 ignoti, 1 militare dell’esercito Americano e 1 militare dell’esercito Austro-Ungarico.
Sacrario S. MARIA AUSILIATRICE (Treviso)
L’8 Dicembre 1925 a Treviso venne posata la prima pietra per la costruzione del Tempio-Ossario S. Maria Ausiliatrice, accanto alla Chiesa, dedicato ai caduti della Prima Guerra Mondiale; questo Tempio fu fortemente voluto da tutta la popolazione trevigiana sin dal 17 aprile 1917. I padri francescani di S. Antonio, custodi del Tempio, misero a disposizione del Commissario del Governo per le Onoranze ai caduti, la cripta del tempio stesso, per la raccolta delle salme dei militari. “Nel pomeriggio di domenica 8 dicembre 1929, con un cielo grigio e piovoso, 946 salme di eroi dalle fosse del cimitero comunale maggiore vennero portate dalla cittadinanza trevigiana al magnifico tempio votivo di Maria Ausiliatrice […]”.
“[…] Alla funzione sono intervenute le autorità ecclesiastiche, civili e militari, le rappresentanze dei mutilati […] Nel centro della Chiesa si ergeva la statua bronzea di Maria Ausiliatrice, opera dello scultore Antonio Gentilin […] Sul pavimento, davanti all’altare, era stata deposta una cassetta contenente le spoglie mortali di un caduto, scelta tra le mille giacenti attorno al coro monastico. Erano i resti del cappellano militare Giuseppe Monaco da Messina, frate francescano ucciso a Castelfranco da una bomba nemica nel Gennaio del 1918 […]”
Cimitero di ARSIERO (Vicenza)
Attiguo al Cimitero Comunale di Arsiero vi è un campo militare, con 1.106 caduti della Prima Guerra Mondiale: al centro del campo c’è un monumento-ossario con i resti di 403 italiani e 726 austriaci ignoti. Il resto del campo contiene le salme, contrassegnate con lapidi singole, di 1106 militari provenienti dagli ex cimiteri militari o civili di Arsiero, Bracafora di Pedemonte, Casotto, Forni, Fusine, Malo ed una parte delle salme dai cimiteri di Marano Vicentino, Pedescala, Posina, Piovene, Sandrigo, San Pietro Val D’Astico e Tonezza del Cimone. Il Cimitero è dedicato alla Medaglia d’Oro Pietro Marocco (asp.ufficiale 159° regg.Fanteria), morto il 22/10/1915 in Val d’Astico.
Sacrario Militare di SCHIO (Vicenza)
Da Marzo a Ottobre 1925 il Municipio di Schio, il Comitato Cittadino, la X Compagnia Lavoratori del Comitato Cure e Onoranze alle Salme dei Caduti in guerra ed il Cappellano Don Michele Massa, organizzarono il trasporto delle salme dall’ex-cimitero militare di Schio al nuovo Sacrario, sorto a fianco della Chiesa S.S. Trinità. Il Sacrario venne ufficialmente inaugurato il 4 Novembre 1925. Negli anni successivi poi vennero raccolte altre salme da Cimiteri vicini. Il Sacrario raccoglie 5013 salme tolte dai Cimiteri di guerra o civili di Schio, Arzignano, Chiampo, Fusine, Malo, Montecchio Maggiore, Novale, Poleo, Posina, Rocchette, Sandrigo, Valdagno e parte di Vicenza.
Da censore e persecutore a compassionevole e accorato difensore delle “vergini”
Non è passato molto tempo, e tutti ne portiamo ben impresso nella memoria il ricordo, da quando il nostro Fogli, massimo dirigente di Sefit (si potrebbe dire la SEFIT stessa) pontificava nell’Aula Nassirya al Senato, in rappresentanza del Sen. Vaccari e di altra compiacente compagnia, sui contenuti di una Riforma che, finalmente, avrebbe tolto la funeraria italiana dalle secche dell’immobilismo di tutti i soggetti in campo, Parlamento, Istituzioni e Federazioni del settore.
Due erano gli assi portanti di questa salvifica Riforma: la drastica riduzione del numero delle Attività funebre (4 addetti obbligatori) e soldi pubblici per rimpinguare le casse dei cimiteri in gravi ambasce (€ 30 a servizio funebre e 20% della TASI).
Per risolvere il primo problema, il nostro aveva escogitato la creazione di uno sbocco “onorevole” per gli operatori piccoli e cattivi (mai equazione radicalmente falsa è stata cosi funzionale ed utile): trasformarsi in “agenti monomandatari” delle imprese più grandi e rinunciare al proprio mercato a vantaggio di tali imprese (gli agenti monomandatari non possono fatturare ai clienti ma solo alle aziende mandanti).
Certo non è meccanica la riduzione degli effettivi punti vendita, tra quelli diretti delle imprese funebri sopravvissute e quelli aperti dagli “agenti monomandatari”; si fida, però, perché la speranza, “ultima speme”, fugge solo i sepolcri, che i cosiddetti grandi abbandonino le vesti del lupo per indossare quelle dell’agnello. Soluzione, quindi, tutto fuorché credibile.
Per risolvere il secondo problema il nostro escogita una soluzione ancora meno faticosa e difficile: destinare al comparto cimiteriale maggiori risorse tout court e per legge. I sindaci destinino il 20% della TASI ai cimiteri e la legge obblighi gli operatori funebri a versare per ogni servizio funebre una tassa di € 30,00 che ricadrà, ovviamente, sulle famiglie. Quella che è stata definita da tutti la “nuova tassa sul morto”.
In conclusione, nuovi prelievi (nuove tasse) e botte in testa ai piccoli.
Sappiamo come è andata a finire con il blocco della discussione determinato dalla Commissione Bilancio che chiedeva calcoli precisi in merito ai costi ed ai ricavi delle modifiche fiscali proposte. Ma di questo abbiamo parlato a lungo nel corso di questi anni.
La meraviglia che, invece, deve essere sottolineata sta nelle posizioni espresse dallo stesso Fogli, a nome di Sefit, nel corso dell’Audizione svoltasi lo scorso martedì 1 ottobre presso la Commissione competente della Camera dei Deputati. Ascoltando Fogli sembrava di ascoltare l’avv. difensore delle piccole imprese contro i moloch rappresentati dai Centri Servizio o “attività funebri ausiliarie”; siamo andati, allora, a leggere quanto scritto nella memoria consegnata e resa pubblica dalla Commissione parlamentare perché, come si dice, verba volant, scripta manent. C’è da rimanere basiti: il DDL Foscolo-Bellachioma, che Federcofit ha sostenuto e sostiene al pari di quello Gasparini nella passata legislatura, sostiene il nostro, “inasprisce la concorrenza dei micro operatori funebri e, inserendo pesanti barriere all’ingresso, rende necessario il loro ricorso a operatori di livello superiore ….”, “… si introducono barriere all’ingresso o alla permanenza nel settore da parte degli operatori funebri ….”, “… il PDL (la proposta Foscolo-Bellachioma) favorisce le concentrazioni di impresa, o meglio la dipendenza delle più piccole dal sistema delle imprese funebri ausiliarie e/o da quelle dotate della casa funeraria”, “non individua soluzioni che favoriscano l’aggregazione volontaria dei piccoli operatori funebri, che invece rischiano l’estinzione o la sudditanza dai grandi”… .
Allora, al di là delle considerazioni, che potremo avere molte occasioni per svolgerle, circa le forzature, le imprecisioni, le interpretazioni strumentali e le falsità o bugie, che dir si voglia, espresse a voce e contenute nello scritto di questa memoria, non sappiamo se gioire o essere particolarmente preoccupati da questa clamorosa giravolta dell’ingegnere e di Sefit. Per intendersi dobbiamo essere contenti per avere conquistato un altro soggetto, e che soggetto!, alla difesa delle “vergini” o viviamo anche in Sefit il segno dei tempi, la totale scomparsa, cioè, di ogni duraturo ancoraggio alle proprie convinzioni ed alla propria storia e la svendita dei propri convincimenti pur di, come dire, recuperare un treno in corsa?
Sarebbe un guaio perché, come diceva un vecchio filosofo, non si deve ripiombare in una notte buia dove tutte le vacche sono nere, e perché perderemmo, nel percorso lungo e faticoso per dare a questo paese una nuova ed adeguata normativa per la funeraria, un interlocutore importante che, pur portando la storica responsabilità della decadenza dei cimiteri italiani, può, in ogni caso, fornire preziosi contributi di esperienza su questi temi.
Federcofit alla Camera dei Deputati
Lo scorso 1 Ottobre, Federcofit e le altre organizzazioni del Comparto funerario sono state incontrate dalla Commissione Affari sociali della Camera dei Deputati, nell’ambito dell’esame delle proposte di legge recanti “Disciplina delle attività funerarie, della cremazione e della conservazione o dispersione delle ceneri”.
In questa pagina potete vedere un estratto dell’audizione con l’intervento del nostro Segretario Riccardo Salvalaggio e del presidente di Federcofit Cristian Vergani.
https://www.youtube.com/watch?v=swDcDJFLeHw
Il video completo dell’audizione può essere visto sul sito della Camera dei Deputati https://webtv.camera.it/evento/15054
Intervista all’Onorevole Piero Comandini (PD) Vice Presidente Consiglio Regionale della Sardegna
D: Onorevole Comandini, Lei è stato il promotore, nella passata legislatura regionale, della Legge Sarda sulla Funeraria ed ha partecipato alle numerose iniziative di illustrazione delle nuove disposizioni. Quale è il Suo giudizio in merito al varo di questa importante Legge e quali dovranno essere, dopo oltre un anno dal varo della Legge, i futuri impegni della Regione e delle Istituzioni Locali?
R: siamo stati la penultima regione d’Italia a legiferare in merito, la Sardegna non poteva più aspettare, con l’approvazione della legge abbiamo fatto un grande passo di civiltà. E’ stato un lavoro, iniziato nel 2015, lungo ed impegnativo, al quale ho creduto fortemente e che mi ha visto impegnato in prima persona, ho ascoltato ed accolto ogni prezioso suggerimento e consiglio per elaborare un testo normativo che portasse ad un processo di semplificazione e professionalizzazione delle attività funebri.
Il lavoro svolto in questi anni, tra audizioni in commissione, incontri con imprenditori e associazioni di categoria e Comuni, ha portato al testo finale, con l’obiettivo, oltre che disciplinare gli aspetti concernenti la salute pubblica e il rispetto della dignità e del diritto di ognuno di poter scegliere liberamente il proprio funerale, di dare regole certe e chiare per garantire un servizio pubblico svolto da operatori professionalmente preparati, una legge che vuole migliorare e sostenere l’attività delle imprese funebri in tutte le sue forme.
Per il futuro sarà necessario monitorare l’attività ed armonizzare il testo normativo, in modo da averlo sempre aggiornato al passo con i tempi e con le esigenze che via via si manifesteranno. Questo sarà possibile solo grazie ai suggerimenti degli operatori del settore.
D: quali sono, a Suo giudizio, le opportunità aperte dalle nuove disposizioni per le attività funebri piccole, medie o di più consistente entità e per la funeraria più in generale?
R: nella legge si definisce con precisione l'attività funebre come servizio pubblico garantito da operatori professionalmente preparati dotati di autorizzazioni all'esercizio dell'attività, nonché alla disponibilità di mezzi, risorse e organizzazione adeguati, al fine di evitare eventuali danni ai consumatori che vi si rivolgono. Si dettano le regole per le finalità, le istituzioni e gli operatori coinvolti nel settore funerario, si individuano le figure istituzionali garanti delle regole del settore, a tutela della salute pubblica e del consumatore finale.
Infine, si disciplina l'attività funebre, si chiarisce la sua definizione e gli operatori che possono esercitarla. Detta regole certe e chiare che opereranno a livello regionale in modo omogeneo, al fine di superare la confusione esistente nel settore che crea enormi problemi di distorsione del mercato e di incertezza e possibilità di frode nei confronti del consumatore finale. Il tutto a vantaggio degli operatori di qualsiasi entità siano.
D: nel confronto propedeutico alla definizione della normativa varie erano le ipotesi in discussione, come ha dimostrato anche un animato confronto svoltosi a Nuoro, presso la Camera di Commercio, ed in modo particolare tra l’ipotesi sottostante il DDL Vaccari (AS1611) ed altre ipotesi formalizzatesi successivamente nel DDL Gasparini (AC3189). Quali sono le ragioni che hanno fatto propendere la Legge della Sardegna più nella direzione dell’ipotesi “Gasparini” piuttosto che verso quella sottostante la proposta “Vaccari”?
R: la ragione principale è stata che il DDL Gasparini ha delineato la nuova definizione di attività funebre quale attività economica di interesse generale attinente alla salute pubblica ed alla pubblica sicurezza, requisiti e disposizioni non discriminatorie ma che si debbono applicare in ugual misura a tutte le imprese del settore e, pertanto, non soltanto un’attività commerciale come previsto dal Ddl Vaccari.
Treviso: concorso internazionale premia i migliori compositori di musiche da cerimonia funebre
Federcofit è orgogliosa di comunicare l'iniziativa che avrà luogo il prossimo 10 novembre a Treviso presso l'auditorium Santa Caterina si terrà la manifestazione denominata "Due sotto" che altro non è che un concorso di portata internazionale che intende scoprire i nuovi talenti della musica in occasione delle cerimonie funebri.
L’azienda trevigiana di onoranze funebri Ivan Trevisin (nostro referente regionale) in collaborazione con l’associazione Musincantus hanno istituito la nobile finalità di promuovere la prima edizione del concorso internazionale Due sotto di composizione ed esecuzione di nuovi testi musicali per servizi funebri i quali affronteranno sia il mondo prettamente sacro che quello laico.
Riferisce Ivan: «la musica in occasione di un commiato, non è in Italia valorizzata come all’estero e la sua mancanza impoverisce o addirittura svuota il rito funebre eliminando ogni dimensione di bellezza e conforto, che sostiene gli animi e rimane impresso nei cuori di chi vi partecipa».
Iscrizioni aperte sino al termine del 28 ottobre.
Il bando, che prevede un premio di 500 euro per il primo classificato, ha come scadenza per la consegna della partitura il 28 ottobre.
Il bando è consultabile nelle pagine social Facebook e Instagram di @musincantus e @ivantrevisin onoranze funebri; è possibile richiederne copia scrivendo a info@musincantus o info@ivantrevisin.it.
La commissione giudicatrice, composta da compositori di fama internazionale e direttori artistici, verrà comunicata ai primi di ottobre.
Riforma della Funeraria dopo l'audizione al Senato: le nostre riflessioni
Nelle passate settimane si sono tenute, presso la Commissione Affari sociali della Camera le Audizioni sul DDL “Disciplina delle attività funerarie, della cremazione e della conservazione o dispersione delle ceneri”, presentato, a suo tempo, dagli on. Foscolo e Bellachioma.
Federcofit ha partecipato, come le altre sigle associative del settore martedì 1 ottobre, esponendo, per bocca del proprio Segretario Salvalaggio, le valutazione sulla proposta di legge e l’apprezzamento per le soluzioni suggerite dal testo. Non si tratta di apprezzamenti nuovi, per chi segue questi temi, considerando che proprio nel corso del nostro ultimo Congresso, a Firenze, l’on. Foscolo ha presentato pubblicamente il proprio DDL e che ben tre anni prima, nel Congresso Federcofit, a Milano, l’on. Gasparini, del P.D., avevano presentato una propria proposta con impostazione similare. Avremo tempo, nei prossimi giorni e settimane, di andare sui contenuti delle audizioni delle scorse settimane.
Siamo stati positivamente colpiti sia dall’attenzione dei componenti la Commissione, sia da una osservazione della On. Pini, quando, prima di porre due specifiche domande ai rappresentanti delle organizzazioni del settore, sottolineava la propria meraviglia a fronte del pieno consenso di Federcofit rispetto alla proposta di legge Foscolo: “è la prima volta che registro il totale consenso ….”.
Positiva impressione per la sensibilità di “correttezza istituzionale” espressa: una cosa sono i contenuti di un DDL, altra cosa sono le legittime istanze ed i comprensibili interessi, anche se di parte, delle singole categorie.
L’osservazione merita una risposta: da ormai quasi vent’anni, dalla nostra nascita, Federcofit è impegnata nella ricerca di una Riforma del settore necessaria, sempre più necessaria, ma capace di salvaguardare le imprese, tutte piccole o cosiddette grandi, rafforzarle e creare una durevole prospettiva mettendo al centro le famiglie utenti di questi servizi. Una storia lunga dal primo tentativo, 1999 Ministra la Sen. Bindi, per passare a quello del Ministro Prof. Sirchia e via di seguito fino ai DDL Vaccari e quello Gasparini, entrambi del PD, per finire a quelli, ora, in discussione. In questa lunga storia Federcofit ha sempre contrastato con tutte le forze i tentativi di risolvere i problemi del settore creando veri e propri monopoli, nei singoli comparti, ovviamente a vantaggio dei più “grandi” e senza guardare ai costi di queste scelte. Su questa “filosofia” abbiamo registrato sintonia con la on. Gasparini, prima, e con la on. Foscolo, poi (non parliamo dell’on. Bellachioma che è stato Presidente di Federcofit) instaurando con loro un rapporto di collaborazione positiva e, ci auguriamo, utile per tutto il settore.
Certo siamo consapevoli che la funeraria è tema complesso e difficile, certo siamo consapevoli che un settore imprenditoriale lasciato a se stesso per 30 anni rende ancora più complicato trovare soluzioni adeguate e condivise, certo siamo consapevoli della necessità di sintesi tra le varie opzioni in campo; non siamo, però, disponibili a svendere tanti anni di lavoro. Fin qui per chiarire quella sorta di generale condivisione per le due proposte di legge, indipendentemente dal colore politico di chi le ha presentate.
Sicuramente, insieme alla risposta vale la pena anche una sottolineatura ed una informazione alla on. Pini.
Per lei, merito della giovine età, sarà stata una sorpresa scoprire la sintonia da Lei rimarcata; se, però, andasse a documentarsi sul recente passato scoprirebbe che nemmeno tre anni addietro nelle analoghe audizioni sul DDL Vaccari ben tre organizzazioni del settore avevano manifestato totale sintonia con quel DDL.
Ma non basta; chissà quale sarebbe stata la reazione della esimia Deputata, giustamente attenta alla “correttezza istituzionale”, di fronte al fatto che la presentazione ufficiale alla stampa ed al mondo della funeraria, nella prestigiosa Sala Nassyria del Senato della Repubblica, è stata fatta, non dal Senatore proponente ma dal massimo esponente di Sefit, organizzazione sindacale del settore e rappresentante di interessi economici di parte in campo. Come a dire non la politica a servizio della società italiana ma al servizio di una parte.
Le vicende della proposta Vaccari, di una proposta di legge sottoscritta da alcuni senatori PD ed una decina di Senatori della Lega, nella passata legislatura sono note: impaludata per l’incapacità di ricercare una vera convergenza o compromesso serio tra le varie forze in campo.
Oggi si riapre la vicenda, in un contesto politico sicuramente molto complicato. L’augurio alle on. Foscolo e Pini è quello di avere coraggio e ricercare sui contenuti quei compromessi necessari ed utili al settore.
Caronte
Ancora diritti negati ai calabresi
La Calabria ci riprova ed il secondo tentativo riesce ad essere quasi peggio del primo.
La Federcofit: “se errare è umano e perseverare è diabolico, in Calabria stiamo raggiungendo livelli quasi infernali”.
MILANO – La Federcofit – Federazione Comparto Funerario Italiano – interviene sulla nuova legge della Regione Calabria il cui risultato “rasenta l’ilarità, peccato che a questo punto non venga da ridere più a nessuno… Non intendiamo frenare entusiasmi della classe politica regionale calabrese impegnata al secondo tentativo di produrre una normativa che cerchi di “inquadrare” il settore funebre, tuttavia il risultato che si prospetta ha un aspetto altrettanto pessimo (come lo era il primo) e in più ha il sapore di negazione dei diritti nei confronti dei propri cittadini, calabresi. Si intende realmente togliere il diritto alle famiglie di potersi riappropriare del proprio caro nella sua casa e legando il suo trasporto solamente all’ambito del comune di decesso?”.
Si chiede la Federconfit se “il rientro a casa lo si potrà concedere solo eccezionalmente considerandolo uno speciale tributo di onoranze? Si intende realmente includere le Chiese nei luoghi dove portare i defunti a cassa aperta che per altro, essendo equiparati a luoghi pubblici, sarebbe vietato per evidenti ragioni igienico sanitarie? A quanto pare, Regione Calabria ha deciso di fatto di limitare i trasferimenti delle salme a cassa aperta (a differenza di tutte le altre regioni italiane), solo ed unicamente nell’ambito dello stesso territorio comunale del decesso”.
Della regolamentazione, ferma a molti anni fa, della Calabria in merito al comparto funerario, ne ha parlato ai microfoni di Rlb, il segretario nazionale della Federcofit, Riccardo Salvalaggio
ASCOLTA L'INTERVISTA:
Regolamentazione del settore funebre
“La regolamentazione del settore funebre, così concepita avallerà il lavoro discontinuo o peggio ancora quello irregolare, in quanto non vengono definite le tipologie contrattuali dell’addetto alla trattazione affari e del personale dipendente addetto alla preparazione del defunto, alla movimentazione del feretro ed alla cerimonia aprendo di fatto la possibilità al ricorso a contratti a chiamata. Sono inoltre sparite le figure del necroforo/addetto al trasporto. Si riconduce tutto, senza sapere di chi si parla, nelle mani di figure fantasma che dovrebbero certificare, quali addetti di pubblico servizio, la chiusura del feretro ed eseguire la movimentazione dello stesso in base alla normativa nazionale sulla sicurezza. Si è cercato di bruciare sul rogo le figure delle imprese “che dovrebbero garantire” altre imprese funebri nello svolgere la cerimonia funebre”.
“Queste figure dovrebbero, per tutelare in primis le famiglie, possedere ben più di una singola squadra di operatori necrofori e di una singola auto funebre (come è stato definito in altre regioni) garantendo per lo meno la realizzazione di due servizi in contemporanea e consolidando le tipologie di contratti dei propri dipendenti a qualcosa di più consistente di un semplice contratto a chiamata, dovendo stabilire assolutamente una costante e continua disponibilità nel tempo. In realtà queste sono aziende che assumono regolarmente e realmente i propri collaboratori e fanno girare le ruote di mezzi sempre efficienti e aggiornati, altro che qualsiasi mezzo funebre”
Poi per la conservazione dei cadaveri viene proposto di utilizzare uno strumento climatico? Abbiamo intenzione di conservare i defunti in stanze dotate di uno split da condizionamento? Viene proposto di portare fuori i cadaveri da strutture sanitarie, ospedali pubblici o privati e metterli in locali dotati di condizionatori portatili? Ci rendiamo conto di quali possibili conseguenze igienico sanitarie si potrebbero sviluppare in questi pericolosi ambienti frequentati da amici e parenti del defunto? Concludendo, siamo allibiti, ma non meravigliati, dall’indifferenza manifestata dalla politica regionale, la quale non ha minimamente pensato di ascoltare le associazioni nazionali di categoria, nonostante la richiesta di audizione, prima di andare dritta verso questa opinabile scelta. Ostacolando stimoli di crescita, scansando il suo compito di regolamentazione ed andando a precludere processi evolutivi di aggregazione commerciale, la Regione Calabria nega di fatto alle aziende funebri di avere concrete prospettive per il loro futuro”.
LEGGI L'ARTICOLO SU "QUI COSENZA"
Se non sai cosa scrivere, fai un po' di spirito sulle pompe funebri
Una mattina ci siam svegliati e abbiam trovato l’invasore pure noi: il solito “articolo di colore sui cassamortari”, addirittura con la battuta (veramente infima) su cosa fossero le pompe in cui il nostro Comparto è specializzato.
Il signor Filippo Facci, che un tempo faceva il giornalista politico e di cui ricordiamo ben altri verve e coraggio, quando però i pregiudizi e luoghi comuni colpivano lui personalmente perché nella sua carriera c’era l’aver lavorato dal quotidiano di partito travolto da Mani Pulite, ieri evidentemente non sapeva come riempire i fogli che per contratto deve scrivere per il compassato quotidiano di indole britannica per cui lavora… così s’è dato al repertorio più bieco.
Una spruzzata di sospetto criminale, il disprezzo per le organizzazioni del comparto, lo humor sul fatto che ai nostri Assistiti siano proposte “simpatiche casse da morto in diversi materiali nonché ogni genere di mezzo per trasportarle, comprese autofunebri di Maserati e Jaguar che raramente però superano i limiti di velocità”, la precisazione che “per chi non lo sapesse, l’espressione «pompe funebri» non corrisponde ad atti sessuali terminali” e via in un ottovolante di sapide arguzie.
Caro Facci abbiamo tutti un mutuo da pagare, perciò la perdoniamo per questi luoghi comuni, sappiamo bene quanto siano esose le banche…
Battute a parte, mentre tutti si stracciano le vesti per le fake news nessuno sembra accorgersi del fatto che la stampa istituzionale è addirittura peggio dei troll di Facebook: passa le sue giornate ad attingere acqua avvelenata dal pozzo dei pregiudizi per innaffiare le vendite delle proprie copie o gli accessi ai propri portali di “informazione”, alimentando l'odio sociale la superficialità.
Se la nostra vita politica e civile è oramai ridotta a una corrida, lo dobbiamo anche a certa stampa, che la propria missione costituzionale l’ha dimenticata da molto.
by